Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

battiti
Avanti un altro! Dopo scribi e farisei, tocca alla tribù dei sadducei. I quali, siccome non credono alla risurrezione, che fanno? S’ingegnano di prendere per i fondelli Cristo, inventandosi di sana pianta una storiella pruriginosa: «C’erano sette fratelli». E, guarda caso, una sola donna che, rimasta vedova del primo-secondo e così via fino a sette, li sposò tutti, per poi morire anche lei. Spremuta l’arancia, resta il succo della questione: «La donna, dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie?» D’altronde – pensano loro – l’eternità sarà il prolungamento di questa vita: come proseguiranno le questioni amorose di quaggiù? Non li sfiora nemmeno l’idea che l’eternità sia la morte di tutto ciò che quaggiù è ripetizione. Figurarsi! Vogliono la certezza che anche nell’aldilà le cose continueranno ad andare come sono sempre andate nell’aldiqua. Tutto-sotto-controllo, insomma.
Cristo, da parte sua, li disorienta. Verrebbe da dire che li asfalta, non fosse per il semplice fatto che vendicarsi non è mai stato il suo forte. Comunque sta al giochetto e, sfidandoli, li manda gambe all’aria: «I figli di questo mondo – parte anche Lui dalle storie d’amore di quaggiù – prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito». Il motivo è semplicissimo? «Non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, da figli della risurrezione, son figli di Dio». Punto-esclamativo! Non dice che non c’innamoreremo mai più: quanto sarebbe triste un’eternità senza il festival degli affetti. Azzarda ancor di più: dice che il brivido della prima-volta resterà per sempre. Il che è scandaloso solo a pensarci: nella vita futura il tempo, più che in secondi-minuti-ore-giorni, noi lo misureremo in battiti. Quello che, da dentro la tragedia di un lager, sosteneva Bonhoeffer: «Dopo la morte comincia qualcosa di nuovo, su cui tutte le potenze della morte non hanno più la forza». Più nessuna biologia a governarci le carni: si tornerà a vivere da-Dio, con-Dio, in-Dio. La morte sarà azzerata, per davvero.
Credere alla risurrezione dei morti, anche solo per un attimo, è materia da svenimento: i sensi stordiscono, il cuore impazzisce, la mente si contorce. E’ questo il grande scandalo del cristianesimo: non tanto che l’Uomo di Nazareth sia morto appeso ad un palo – tanti, prima di lui, avevano sperimentato questa strana mattanza – ma il fatto che, dopo morto, sia tornato a vivere, splendendo di una luce abbagliante, come aveva lasciato detto: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Più che stesi, i sadducei Cristo li ha superati in terza corsia: finchè Iddio rimarrà una questione astratta, di storie come quella della donna-ammazzamariti ne sentiremo a bizzeffe. Gesù, invece, presenta un altro Dio, quello vero, che solo Lui può raccontarci guardandoci negli occhi: «Il Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe». La lista è fatta per essere aggiornata: il Dio di Maria, di Giuseppe, di don Marco. Il mio Dio, il tuo Dio, il nostro Dio. E’ il Dio di chi vive, spera, ama. Cade, si rialza: il Dio dei viventi. «”Karamàzov!”, gridò Kòlja. “E’ vero quello che dice la religione, che resusciteremo dai morti e, tornati in vita, ci vedremo di nuovo tutti, anche Iljùscenka?” “Resusciteremo senz’altro, ci vedremo, ci racconteremo l’un l’altro allegramente e gioiosamente tutto ciò che è stato”, rispose Aljòscia a metà tra il riso e l’entusiasmo. “Ah, che bello che sarà”, sfuggì a Kòlja» (F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov).
E’ tempo-da-pazzi l’eternità: in quel giorno non saremo più di nessuno, ma non saremo nemmeno di tutti. Saremo tutti in Lui, che è il Tutto, il nostro Tutto: vivremo, faremo, saremo Lui. Più nessuna abitudine: sarà (per) sempre la prima volta. Che goduria pensare che saremo la tortura vivente di Satana: Lui, il lurido che ci fece sospettare che Dio fosse geloso della nostra felicità, vedendoci felici perirà di crepacuore. E capirà quant’è stato pirla a manomettere il sogno di Dio.

(da Il Sussidiario, 9 novembre 2019)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Luca 20,27-38).

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