Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

donGinoTemporin
L’assoluzione resa definitiva dalla Corte di Cassazione – «(Assolto), il fatto non sussiste –» è il fischio finale di una partita già vinta dieci a zero. Nessun fischio finale, comunque, è mai inutile: è necessario per avere la certezza che la partita è finita, il risultato fissato. L’accusa che pendeva su don Gino Temporin, rettore del seminario di Padova – violenza sessuale aggravata nei confronti di un minore – è azzerata: hai voglia a sfidare l’onestà quand’è casta, ti procurerai solamente del male. E’ scritto: “Assolto”. Per chi l’ha conosciuto, essendo stato suo alunno, non è mai stato colpevole. Sono da considerarsi, dunque, persi tutti questi anni costellati da sospetti, gogna, “caccia al cinghiale”? Tutt’altro.
Si sono rivelati – agli occhi di chi scrive, a titolo personale – l’altra faccia del suo essere educatore: si educa moltissimo con quello che si dice, ancora di più con quello che si fa, molto di più con quello che si è. Ho impressa nell’anima la mattina in cui le locandine parlavano di lui come dell’orco che andava a spasso per la città: la cosa comoda era rintanarsi in quale caverna di monaci, spegnere il cellulare, nascondersi al mondo. “Vieni a bere un caffè in centro, don Gino” gli scrissi quella mattina. Accettò al volo: percorremmo tutto il centro, leggemmo le locandine, ci guardammo negli occhi. Il caffè, è di tanti caffè, non era voglia-di-caffè: era la scusa bambina per dirgli “Ti voglio bene. So chi sei. In tanti siamo il prodotto della tua bontà”. Con quel caffè, bevuto in centro città, m’impartì una lectio-magistralis: l’istruzione finisce nelle classi scolastiche ma l’educazione finisce solo con la vita. Sotto la tempesta ha insegnato come si fa a danzare.
E’ sempre rimasto fiducioso: “So a chi ho dato fiducia” mi disse, andando a prender spunto dall’apostolo Paolo. Per questo il suo ottimismo non è mai parso una forma d’imbecillità: l’ottimista conosce tutto il male del mondo, il pessimista ne conosce un pezzo alla volta. E quel male che il Male gli fece indossare, oggi abbiamo capito che non è stato inutile. Non è mai del tutto inutile il male: serve per essere additato come cattivo esempio. Denigrare l’avversario, in questi casi, è faccenda scontata: lui, uomo di Dio, mai ha pronunciato parole sprezzanti nei confronti di chi l’ha accusato. Le uniche parole sono state parole di preghiera, di pietà: l’educazione, quando è tale, spalanca molte porte, chiude molte bocche. Eccola la statura di un leader: comanda con l’esempio, mai con la forza. Fosse un generale – è stato un generale di tanti cuori adolescenti -, ecco il suo motto: «Se vuoi convincere un uomo che fa male, fai il bene. Non preoccuparti di convincerlo. Gli uomini credono a ciò che vedono» (H. D. Thoureau).
Assolto il generale, con tutto l’esercito, ch’è quello fantastico del seminario minore: tornassi bambino, il seminario (minore) lo rivivrei tutto d’un fiato. Chi ha abitato quell’esperienza, ha imparato a fare voto di vastità prima che di castità: cos’altro dovrebbe fare, un educatore, se non allenare i ragazzi all’infinito? Oggi la Chiesa è in festa, nel nome di un Dio che, parlando di sé, parlò di ogni uomo che viene, a torto, crocifisso: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Il fatto non sussiste: traducetelo come meglio credete. Fatto sta che il demonio, stavolta, ha pisciato fuori dal vaso. E l’uomo, quello mirato come bocconcino, l’ha fatto (ri)splendere ancora di più di quello che già splendeva.
Questo non è un comunicato stampa: sono parole di gratitudine. Da uno degli alunni più malfermi, delle anime più tormentate. Un’anima debitrice.

(da Il Mattino di PadovaIl Sussidiario, 10 novembre 2019)

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