Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

provvLa vita è una corsa continua. Non solo per arrivismo, ma, innanzitutto, per arrivare:a trovare se stessi. Migliorandosi, ininterrottamente, lungo tutto il tempo che ci è dato di vivere (la cui quantità ci rimane e rimarrà ignota fino all’ultimo istante).
Ognuno parte col proprio fardello di pregi, difetti, qualità ed opportunità, ma si spera che potrà arricchirlo con l’esperienza che potrà fare con le sue scelte quotidiane e col suo giornaliero mettersi in gioco, per diventare. Ma, il più delle volte, tutto ciò non basta.
Come quando scriviamo un messaggio con il nostro telefono. Il T9 è inserito, perché in fondo è comodo, ci aiuta. Dopo qualche secondo, però, iniziamo ad inveire contro di lui. Perché? Non basta la correzione automatica: ci corregge ciò che non è errore, aggiunge parole, mette spazi, stravolge le frasi, fino a farci stentare di riconoscere, in quelle, i nostri pensieri, così chiari nella nostra testa! La correzione automatica ha bisogno del supporto di una correzione ragionata, pensata, ponderata: deve essere mediata da qualcuno che non ragioni con automatismi, ma attraverso logica e ragionamento, che sappia essere oggettivo ed efficiente. Nel caso della scrittura sul telefono, quel qualcuno siamo noi: ogni qualvolta il T9 entra in azione, sbagliando in modo grossolano, commettendo errori ai limiti del ridicolo, ci accorgiamo di quanto siamo insostituibili. Sì, noi esseri umani abbiamo una ricchezza interiore di vissuto, emozioni, sentimenti, pensieri, che non potrà mai essere paragonata ad alcuna macchina, per quanto perfezionata possa essere.

C’è un abisso, nell’uomo, che può solo far intuire l’immensità di essere che ci caratterizza e ci riempie fino a farci sembrare un buco nero, le cui reali potenzialità emergono come la punta di un iceberg, ma la cui piena realizzazione è ben lontana dall’essere attualmente compiuta. C’è un divenire inscritto in ciascuno di noi: una promessa di compimento che fa sì che ogni giorno sia da interpretare come un’opportunità da cogliere per vivere appieno una vita che ci esige non solo partecipi, ma protagonisti, sul palco della nostra realizzazione. Questa è un percorso talvolta accidentato e di cui spesso fatichiamo a vedere il tragitto, come chi procede di notte, su una vecchia bicicletta, su una strada illuminata solo dal proprio fanale anteriore: il tratto di strada visibile è sempre e solo un piccolo pezzo, quello immediatamente avanti a sé e non è possibile indovinare quale sia il tratto successivo: si può solo aver fede che, una pedalata dopo l’altra, la strada si aprirà continuamente davanti a noi sino a giungere all’agognata, pur se spesso vagamente compresa, meta finale.
Tuttavia, nessun uomo è un’isola. Non possiamo mai pensare di poter fare il nostro cammino da soli, illudendoci della nostra piena e completa autosufficienza. Ci affidiamo a qualcuno, per tutto ciò in cui siamo esperti: che sia il dentista, l’idraulico o il professore di latino. C’è una conoscenza tecnica che è sempre più vasta, tanto da pensare concretamente impossibile un sapere “enciclopedico” al modo degli artisti rinascimentali, alla “Leonardo da Vinci”.
Non ci sono solo le conoscenze specifiche, però. C’è un’arte del vivere che non può essere imparata solo sui libri, che è frutto soprattutto di riflessione e d’esperienza, di familiarità con la Parola di Dio, ma anche della capacità di leggere il cuore dell’uomo; una ricchezza, quest’ultima, che si acquisisce solo giorno dopo giorno, con pazienza, perseveranza e il coraggio di non arrendersi mai. Perché il segreto l’ha capito Sant’Agostino, tanto tempo fa: il dualismo tra bene e male non è presente in Dio, pienezza di essere, ma è presente nell’uomo, quale controindicazione del meraviglioso dono della libertà. Possiamo, in ogni momento, scegliere se essere luce o tenebre, mano tesa per aiutare oppure per far affondare, testa pensante per far riflettere oppure per truffare, cultori del Bello oppure propagatori di Vuoto.
Nonostante le divergenze di opinione, nonostante a volte pare che la correttezza e l’onestà non ricevano ricompense, in realtà, ci rendiamo conto che, persino quando non rappresenta la strada più facile, la via del Bene è quella che ci avvicina alla felicità. Anche qualora non riusciamo a raggiungerla, quella strada è quanto meno utile a farcela vedere, ad attivare il desiderio di qualcosa di più del semplice appagamento personale o della soddisfazione: il tentativo di raggiungere quella pienezza che ci faccia assaporare la completa realizzazione di quello che il nostro essere richiede. Pienezza che è il secondo nome della santità:
Eppure, nonostante indicazioni abbastanza chiare che arrivano dalle nostre riflessioni, e in parte anche dal nostro istinto, la cosa più difficile da fare resta scegliere. Perché scegliere comporta un giudizio. E giudicarsi «è la cosa più difficile. È molto più difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicarti bene e’ segno che sei veramente un saggio» (Capitolo 10, Piccolo Principe, Antoine de Saint-Exupéry). Tantissime variabili pregiudicano l’oggettività del giudizio: come giudicarci oggettivamente, se non possiamo mai guardarci dall’esterno? Come valutare le altre persone, senza essere condizionati dalla nostra relazione con loro? cosa aspettarsi dal futuro, sulla base del presente?
In tutto questo marasma, spesso, può capitare di sentirsi persi, o, semplicemente, di commettere errori di valutazione. Fidarsi delle persone sbagliate. Non essere in grado di concedere una seconda chance a chi invece se la merita. Avere la sensazione di partire, avendo già perso.
Ragionare da soli su se stesso, può avere l’effetto devastante del T9: utile in alcuni casi, ridicolo in molti. Ti costringe a “girare a vuoto”, senza soluzione di continuità. Ecco perché domandare aiuto, cercando un punto di vista esterno al proprio non è una manifestazione di debolezza, ma, al contrario, sintomo di “intelligenza tattica”. Accorgersi dei propri limiti è sempre il primo, e imprescindibile passo, per superarli. E l’aiuto di occhi, orecchi e sensibilità esterni, possono aiutarci, oltre a focalizzare i nostri pensieri, a visualizzare nuovi dettagli, a cui magari non avevamo ancora minimamente pensato.
Ma c’è di più. Spesso ci ritroviamo discepoli di chi non abbiamo scelto come maestri, di chi ci stupiamo che possa trarci in salvo dall’esuberanza o dalla disperazione. Ci aspetteremmo di trovare aiuto, spontaneo e sincero, da chi condivide i nostri principi morali, le nostre idee, da chi ci è vicino come modo di pensare e come esperienza di vita. A volte invece non va così e invece di lasciarci riempire da grato stupore per questo dono inatteso, restiamo destabilizzati: non i capacitiamo della persona che ci è tanto preziosa. Pensiamo che ci sia qualche errore, che non sia possibile che proprio da un ateo impariamo la speranza, che da chi non vediamo mai a Messa avvertiamo la reale fede nella presenza vivente dei nostri cari defunti, che chi “non frequenta” ci offra esempi di misericordia evangelica e correzione fraterna, che chi si proclama estraneo alla Chiesa, mostri esempio di gratuità e, pur agendo in contrasto con il nostro credo, ci sprona e ci indirizza alla coerenza, sottolineandoci in cosa la nostra azione potrebbe contraddire il nostro messaggio.
Dio non dimentica nessuno dei suoi figli e, nel farci fratelli, ci mette accanto qualcuno che possa mostrarci un raggio del suo amore. Anche se, troppe volte, facciamo finta di non vederlo, perché non corrisponde ai nostri canoni. Sì, io sono convinta che, se Dio si è incarnato per mostrarci il Suo amore non si vergogna proprio di nessuno, neppure di chi lo bestemmia, di chi non segue i suoi comandamenti, insomma, non fa nulla per seguire la strada di Dio.
Ma i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri (Is 55,8) e – viene da pensare – il suo sguardo non è come il nostro: sa scavare più in profondità, sa andare oltre distinzioni e barricate squisitamente umane con cui siamo soliti dividere la gente in buoni e cattivi.
In poche parole: se Dio “fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”, perché non potrebbe essere che il suo amore e la sua tenerezza si manifestino attraverso persone che (a parole) sono lontane da lui, ma che, nella pratica, diventano Suoi strumenti, dal momento che ci indirizzano alla coerenza e alla perseveranza?
Personalmente, sono ormai convinta che la salvezza eterna possa essere raggiunta solo “in cordata” e non con una “navigazione solitaria”…

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