Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Japan_Earthquake_02be0-3860--606x404Sommovimenti tellurici, tsunami, colpi di stato, migrazioni di massa… quanti eventi, in così poco tempo, si stanno susseguendo! Accadimenti decisamente diversi e difficilmente paragonabili tra loro. Eppure, ognuno di essi dovrebbe suscitare in noi riflessione e tutti quanti coinvolgono la nostra vita quotidiana, in misura maggiore di quel che ci potremmo immaginare in prima istanza.

Lo tsunami che ha colpito così duramente le isole giapponesi causando danni ingentissimi alle strutture, provocando un gran numero di vittime e mettendo in ginocchio l’economia non solo nipponica, si è tristemente guadagnato le prime pagine dei quotidiani e i primi posti nei notiziari di tutto il mondo. Il popolo giapponese sta reagendo a questa sciagura con grande dignità, compostezza e coraggio, grazie ai quali ha ricevuto l’ammirazione generale.

 

Tuttavia, naturalmente, oltre ai danni enormi e incalcolabili, di uguali dimensioni sono bisogni, necessità, disagi, sconcerto, paura, sgomento. Non tutte le località sono state danneggiate in eguale misura, ma un’intera nazione si trova a doversi rimboccare le maniche, ricominciare da capo, come se le fatiche e il lavoro realizzati finora non fossero mai esistiti, come se nulla di tutto ciò per cui si erano alzati ogni mattina, per cui avevano sperato, pregato, pianto, gioito… come se niente di tutto ciò avesse ancora valore. Con un colpo di spugna, tutto è crollato, come un castello di carte, ripiegandosi su se stesso. Mandando al diavolo anni e anni dei migliori studi (e realizzazioni) ingegneristici, costruiti secondo criteri antisismici. Se ci pensiamo bene, è probabilmente questa la ferita più profonda – e più difficile da rimarginare – . Un attentato alla speranza, pervasa dall’incertezza e soverchiata dalla sensazione d’imbarazzante inutilità. Si avverte un senso di frustrazione, percepita in modo quasi fisico, come pupazzi abbandonati in un cestone, inutili e inutilizzati, quando i figli sono grandi ormai. Forse, però, proprio l’aver perso tutto aiuta a ritrovare le (vere) priorità: a mettere ogni cosa al posto giusto,  a valutare con la necessaria affetti, pensieri, parole, persone. È forse questo che salva dall’impazzire: quand’anche uno avesse perso tutto ciò che si era conquistato con lavoro, fatica e sacrifici, ciò che è diventato in virtù del suo percorso non potrà perderlo mai.

Non è solo la terra a tremare: regimi che tremano, popoli che si sollevano… il Nord Africa è in fiamme; tra rivendicazioni di diritti, tentativi di rivoluzione, guerriglie che assomigliano a guerre, diplomazia internazionale in campo pare che sia in atto la ricerca di una possibile democrazia, anche nei luoghi dove sembrava impensabile. Che dire? Potremo ben sperare, allora, che ciò possa estendersi anche ad altri Paesi (Cina, Cuba…)? Portando, però, uno sguardo più lucido su queste situazioni, notiamo come non sia tutto oro ciò che luccica: come in ogni rivoluzione che pretende di apportare cambiamenti e miglioramenti sociali, basandosi sull’impiego della violenza, i danni collaterali e il costo umano da pagare sono altissimi. L’aumento del flusso migratorio da questi paesi ne è chiara testimonianza: finora, più che il popolo, a regnare sovrani sono paura e insicurezza.  Del resto, credo che nessuno auspicherebbe di far vivere ai propri figli una vita scandita dal coprifuoco, sottoposti quotidianamente a scene di guerriglia e di violenza.

Il Giappone, così popolare in Italia per la sua cucina e per i manga e il Nord Africa (la Libia, in particolare) sono diventati protagonisti della scena internazionale. In modo diverso, entrambi ci ricordano un prezioso insegnamento.

Non siamo soli, su questa Terra. Non possiamo pensare soltanto a noi, soltanto ai nostri, soltanto ai vicini. Una sommossa in Libia o un terremoto in Giappone è anche affar nostro, ci riguarda,  fa parte di noi. Perché facciamo parte dell’unica famiglia umana. Di quell’essere umano meraviglioso e profondo, tanto abissale  da risultare inconoscibile a se stesso, eppure talmente affascinante per la peculiare diversità con cui ciascun individuo si manifesta!

Ma c’è di più. Il dramma giapponese ci fa presente altro.  Non siamo soli, su questa Terra.. c’è anche la Terra! Sembra una banalità, eppure pensiamo davvero poco a questo prezioso dettaglio. Abitiamo la terra, un pianeta vivo, in movimento e in costante evoluzione. Con superficialità molti etichettarono certi interventi di questo Papa come ecologisti. Credo che tale visione al riguardo sia riduttiva e faziosa: è opportuno e doveroso, per tutti i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, guardare con meraviglia e rispetto al mondo che ci circonda. Vedo, soprattutto, una consapevolezza da ritrovare, anche grazie ad avvenimenti di questa portata.  Abitiamo la terra, dunque ne siamo gli abitanti. Ma non ne siamo i padroni; ce ne accorgiamo con rammarico, ma è un dato di fatto: se lo fossimo, ci opporremmo a sciagure come queste. Abitiamo una terra che ha una sua storia, una sua evoluzione, una sua indipendenza rispetto a noi.

Che l’uomo occidentale abbia perso il senso profondo dell’ospitalità, perché ha perso la consapevolezza di essere ospite?

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