Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Somiglia ad Apollo quel giovine: aitante, d’una complicata bellezza, fascinoso e arzigogolato nell’intima sua essenza. Apprezzato e conteso da occhi di donna nell’età degli amori. Eppur non ci sarà femmina sotto il cielo che potrà un giorno vantarsi di poterlo chiamare per nome. Giovine e abbiente: la casetta di pietra contornata da narcisi, ciclamini e anemoni come tappeto di tanto agio. Oltre la siepe anemoni color della porpora acciuffano sciami di insetti che si nutrono e l’impollinano.
Sopra la maniglia della porta una scritta di benvenuto, forse un presagio: «Garzoncello scherzoso, / cotesta età fiorita / è come un giorno d’allegrezza pieno, / giorno chiaro, sereno, / che precorre alla festa di tua vita» (G. Leopardi, Il sabato del villaggio). Ciò che precorre è l’anticipo di ciò che sarà; ma a chi è giovine gli anticipi possono anche non appagare. Allora ci s’avventura sull’oltre, ci s’affaccia sull’uscio di casa per vedere che faccia abbia l’ignoto. Che quotazione tenga nel mercato del tempo: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Mc 10,17) L’Eternità non è anticipo, bensì l’esatta sua antitesi: il mondo di quaggiù – a sprazzi, a sorsi, a zone – ne potrà essere d’anticipo. L’anticipo. Di quel Viandante quel giovine ha udito parole stuzzicanti. Si è deciso: lo chiamerà buono, forse per rendersi buono pure lui ai suoi occhi. S’imbroglierà di grosso (liturgia della XXIX^ domenica deltempo ordinario).
Vaneggiamenti di pensiero non son concessi nelle trattative col Cielo; a quel giovine i piedi vanno ancorati a terra: “Perché mi chiami buono? (…) Tu conosci i comandamenti?” (Mc 10,18-19) Lo sbaraglio, ma pure un pertugio: i comandamenti. Mentre l’Uomo ne fa memoria, il giovine ne fa la conta: sono figurine da collezione, mercanzia da raccolta: “ce l’ho, questo anche, siamo a tre. Ce l’ho, un altro. Ancora tre, ancora due. Uno ancora: fatta!” Schietto ma sprovveduto: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” (Mc 10,20). Integerrimo, impeccabile, il giovine del quale le mamme di Galilea sgomiterebbero per accasarlo alle loro figlie in età da marito: a posto, faraonico.
Perfetto, per l’appunto: la disgrazia per un Cielo che ricicla l’imperfezione. Non c’è fantasia in ciò che non ha sbavature: niente margini, niente correzioni, nessuna possibilità. Però c’è tanto desiderio nel mezzo di quei capelli arricciati forse per vanagloria. Per piccolo vezzo di gioventù. E il Viandante non l’umilia, lo ama dopo averlo fissato: registrato, accolto, abbracciato. E a chi ama offre il di più, la sorpresa, una chance: “Una sola cosa ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi” (Mc 10,21). A Nazareth sono grembi gravidi di prole, a Cafarnao sono reti piene di pesca, nella città del giovine sono prospettive vertiginose sull’Eterno. Sull’altrove di Dio.
Il giovine lo squadra stupefatto: “ma tu sai chi sono io, Maestro?” Ci ragiona: “eppoi tutti i comandamenti mica tanti sono quelli che li rispettano”. Delira: “Condizione assurda. Fra poco ci ripenserà e abbasserà il tiro. Uno come me non lo può perdere”. S’allontana, come chi è certo di strappare uno sconto, o un perdono: l’Altro non batte ciglio.
Imperterrito nel suo incedere quel giovine: “muoviti, dove lo troverai uno come me. Richiamami”. L’altro dritto nella sua statura: spiaciuto, non ritrattabile. Il giovine volta l’angolo: l’Altro lo amerà ad oltranza. Qualche metro ancora e il giovine – nei pressi di una macchia gialla di brassiche selvatiche che convivono coi crisantemi – s’accorge d’aver in mano la corda. Giocare a fune col Cielo è ambizione d’arditi: può capitare che nel mezzo della furia di muscoli e spasimi, l’Altro molli la corda e te la lasci come dote. Per poi accorgerti che tu sei a terra per l’improvviso contraccolpo, e l’Altro è in piedi: per non aver ceduto al ricatto degli sconti. Che «la tua festa / ch’anco tardi a venir non ti sia grave». Ci sono attimi in cui fare i preziosi col Cielo è azzardo temerario: il rischio è di restare senza nome. Senza storia, senza discendenza.
Storia di un giovine che all’incerto del domani scelse il certo dell’oggi.
A volte i miracoli s’inceppano. Non sono mai scontati.

(da M. Pozza, L’imbarazzo di Dio, San Paolo 2014)

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