Gesù Cristo, Dio fatto uomo. Vero uomo quanto vero Dio. Uomo come noi. Fino alle conseguenze più impensabili ed imbarazzanti.
Quelle che comporta l’assumere natura mortale. Nella carne degli uomini.
Non solo Cristo ha un corpo, ma è un corpo. Tramite esso comunica, trasmette emozioni, si fa vicino, parla, abbraccia, incoraggia.
Un corpo tangibile e avvertibile si cinque sensi, che accompagna noi come ha accompagnato lui nel suo cammino terreno. Un corpo che ci identifica, differenziandoci in uomini e donne, con tutte le peculiarità che ci contraddistinguono nei piccoli dettagli di ogni giorno. Un corpo che cresce, cambia, che talvolta ci è scomodo, ma il più delle volte è un fedele servitore della nostra volontà, consentendoci di realizzare ciò che desideriamo (un piede avanti all’altro ci consente di percorrere anche grandi distanze), assecondando e rendendo possibili i nostri progetti.
Un corpo che richiede d’essere innegabile, a meno che non si voglia pagare il pegno di uno scontro frontale con la realtà dei fatti. Che, però, al contempo. Ci interroga su quali siano i nostri reali limiti. La mente è la prima a metterci in difficoltà. Nonostante siamo ormai in grado di localizzare le varie aree cerebrali e le loro funzioni, ci rendiamo tuttavia conto che questa risposta rimane ancora insufficiente.
Dove sono i pensieri? Dove sono i ricordi? E il subconscio? Ha un posto in cui trovarlo?
Tutto, o quasi, di noi, ci rimanda ad un altro e ad un oltre che travalica i confini di un corpo. Tutto, insomma, ci fa pensare che chiunque, anche chi non vi fa caso, abbia un’anima.
L’esempio più limpido è quello di un sempreverde, come il “Ritorno di don Camillo”, in cui il Nero vende la propria anima, di cui non crede si possibile l’esistenza, al dottor Spiletti; tuttavia, da quel momento, ha rimorsi di coscienza e non si dà pace, finché don Camillo non strappa il contratto di vendita e brucia i soldi che il dottore gli aveva dato.
Anima e corpo: una dicotomia che ha affascinanti gli intellettuali di ogni tempo. Dal pessimismo riguardo al corpo di platonici e manichei, siamo arrivati alla concezione attuale, in cui dominano il pensiero materialista ed un estetismo esasperato, che cerca nelle bellezza, nel l’efficienza ed in un’eterna giovinezza forzosa l’obiettivo di una vita che non cerca pensi più il bene, bensì il benessere. Non è più il bene (etico) a creare pensiero, ma il benessere estetico, che il più delle volte si cerca tramite muove preoccupazioni, come la conta delle calorie e la ricerca dello sport che ne bruci a sufficienza.
Dalla prigionia all’idolatria del corpo, il passo è molto più breve di quanto si potrebbe mai credere. Entrambi gli eccessi sono pericolosi, perché distanti dalla realtà.
La sua osservazione, infatti, ci notifica che abbiamo dei limiti, dati dal nostro corpo e con cui dobbiamo costantemente fare i conti . Ma abbiamo anche delle possibilità di travalicarli, in nome di desideri che oltrepassano la nostra realtà contingente. È quell’insoddisfazione che ci coglie ogni volta che i nostri desideri ci moltiplicano, ma rimangono incapaci di farci assaporare la vera gioia. È quel senso di ingiustizia che ci coglie, quando realizziamo che anche i momenti migliori avranno fine, che tutto ciò che è legato a questo mondo è mortale e, prima o poi, dovremo dirvi addio. Per sempre. Una prospettiva che ci agghiaccia, perché di fronte alla morte vorremmo trovare una soluzione, mentre l’uomo non vi sa porre rimedio. A tante malattie si è trovata una cura. Ma di fronte alla morte, anche i migliori luminari della medicina si ritrovano ad alzare le braccia, sconsolati.
In un indefinito spiritualismo, pochi sono quelli che, oggigiorno, negano l’esistenza dell’anima, ma pare, tutto sommato, subordinata al benessere del corpo. Anzi, il benessere corporeo è visto precisamente come “spia” del raggiunto benessere dell’anima.
È forse necessario fare pace con noi stessi e riconciliarci con il nostro riconciliarci con noi stessi e la nostra indissolubile unione di anima e corpo, che ci rivela la nostra reale natura. Una natura che è sia intangibile che sensibile. Che abbraccia la realtà naturale, ma ci richiama e ci invita a quella soprannaturale
Questo Natale dovrebbe, ogni tanto, suggerirci un po’ di misericordia per noi, nella nostra integrità.
Da un lato, quindi, sarebbe bene ricordarci che non è solo la palestra che ci rende migliori, che anche la nostra anima richiede attenzioni, se non vogliamo si atrofizzi irrimediabilmente e che la coscienza, per essere efficiente, necessita di essere allenata alla scoperta del bello, del buono e del vero nella realtà per potersi esercitare nella contemplazione della vera Bellezza.. Dall’altro, però, anche fratello asino richiede, ogni tanto, che gli venga usata un po’ di delicatezza. Una ciotola di cibo e un giaciglio di paglia fresca e pulita.
Non c’è bisogno di annegare nel lusso: è vero che il troppo stroppia e non provare ogni tanto un po’ di fatica, finisce col renderci incapaci di dare valore a quei lavori manuali che, del resto, oggi rischiano di estinguersi. La creatività, unita alla manualità riesce a creare piccoli capolavori d’artigianato che, anche quando non sono esteticamente perfetti, ci lasciano almeno la soddisfazione d’averci provato o, nel caso di un regalo fai-da-te, ci fa assaporare la bellezza di qualcuno che ha ‘perso’ il proprio tempo per noi.
Il nostro corpo è parte di noi quindi, non possiamo ignorarlo e dobbiamo anche essere capaci, di fermarci un momento e regalarci quel riposo che ci è necessario, per noi stessi e per gli altri: inutile rimarcare, infatti, che a tirare troppo la corda, va a finire che su spezza; riposare corpo e mente è necessario per ristorarci e consentire, conseguentemente, la distensione di rapporti troppo tesi e resi nervosi, spesso da noi stessi e dall’incapacità di dirci di no.
La prima Misericordia, del resto, dovrebbe essere euro volerci bene equilibrato che sa anche perdonare noi stessi, nel l’accettazione dei nostri limiti, in tutti i loro aspetti (fisici, psichici, caratteriali e spirituali).