IMG 2013Forse c’era una luna fine come un’unghia, o forse sopra di noi vegliava un cielo lattiginoso: non saprei quale delle due. Di quella notte non ricordo assolutamente nulla, anche se mi piacerebbe ricordare tutto di quegli attimi, attimi che tracciarono una rotta al mio destino. Chissà: forse sperduto in qualche angolo della memoria ci starà qualche appunto, magari scarabocchiato da angeli di passaggio. Ciò che rammento di tutto quel trambusto – notte funesta e tormentosa, notte di tormenta e di spasimi, notte di tregenda e da leggenda – me l’hanno raccontato quelle poche persone che c’erano, ieri come sempre. Da come me l’hanno raccontato negli anni, penso sia stata una vera e propria avventura, di quelle da pisciarsi addosso. Per tanti motivi.
Hanno sempre iniziato il racconto dicendomi che dovevo nascere la prima settimana di dicembre: sarebbe stato accattivante festeggiare l’anniversario di matrimonio di mamma e papà con una nascita. Invece m’hanno sempre rinfacciato che fin da bambino mi divertivo a non-far-tornare-i-conti. Appena nato, dagli sguardi ho intuito che mi aspettavano già da tempo: mi sono sentito desiderato, importante! Forse è per quel ritardo che poi mi sono messo a correre a perdifiato: ho dei giorni da recuperare su una tabella di marcia tutta mia. Già prima di nascere, però, qualcosa non quadrava: negli ultimi giorni poi – facendo fede ai racconti della mia nonna, il cuore-pensante della mia storia – le cose si erano complicate: il cuore non batteva più, la mia mamma stava rischiando seriamente la vita. Dispiace davvero sapere d’aver messo a repentaglio la sua serenità ancor prima di nascere: è rimasto il marchio di fabbrica tra me e lei. Lei non cedette al pensiero di perdermi, papà non cedeva al pensiero di perdere lei, la sua donna. I miei nonni – gente di guerra, vissuta in guerra – non cedevano al pensiero di perdere anche uno solo dei due. Hanno piantonato i medici finchè alla fine hanno vinto ancora loro, testardi: sull’orlo della sciagura, vincerà sempre chi saprà reggere un istante oltre l’avversario. Oltre la paura. Con un parto cesareo ho visto per la prima volta la luce. Era scoccata da pochi minuti la mezzanotte quando, armato di urla e di schiamazzi, volli che il mondo intero sapesse la notizia del secolo: non tanto che ero nato io, quanto che la vita aveva vinto ancora una volta, in barba ai gufi. Mentre la mamma si riprendeva – come Giacobbe dopo la lotta notturna con l’angelo – sono finito nelle braccia di mio papà. Che, cucitomi addosso il suo sangue, si sentì dare l’annuncio che, di lì a qualche mese, gli rese bianchi i capelli: “Questo bambino sarà la fortuna o la rovina di suo padre”. Non so quale delle due sarà, ciò che so è che a quell’uomo e a quella donna devo tutto. Devo la possibilità d’essere nato, la più bella tra le occasioni che mi potessi trovare tra le mani.
Di più. Nato sotto la benedizione dei miei nonni, il che ha fatto la differenza: gente agile come bertucce, scarponi ai piedi, cuori all’erta. Mungitori, massaie e mondine: nel mio albero genealogico c’è sangue passionale, mica di gente tracagnotta. Educato – anche se loro hanno sempre detto allevato – secondo la legge della collina: mai giocare al “gatto-e-al-topo” quando sai di essere il topo. Avevano ragione: l’ho scoperto quando, io-topo, mi sono messo a stuzzicare i gatti. Se non m’hanno divorato, è perché ho qualche santo lassù che mi protegge, che sfido. Tutto il resto non conta. Ciò che conta è che sono nato storto: in ritardo, facendo vedere i sorci verdi a mia mamma, regalando una tintura di bianco a mio padre, tenendo in apprensione i nonni. Nato storto, come la torre di Pisa. E’ diventata famosa perchè storta: fosse diritta, sarebbe una delle tante torri noiose. Certe cose devono nascere storte per diventare delle meraviglie. Vite, sacerdozi e amori: tutto storto, tutto torna, tutto bellissimo. Come oggi: m’hanno organizzato la festa con un giorno di anticipo. Pochi anche oggi, come quel giorno: un pugno di gente, quella che non mi molla mai, costi quel che costi. Un giorno prima, per ricordarmi che certi giorni durano sempre-doppio: la vigilia più la festa. Oggi compio gli anni, ma gli auguri li faccio a mia mamma, a mio papà: “Complimenti, che bel coraggio che avete avuto”. Mica sazi, quattro anni dopo hanno fatto il bis. E che bis!
Certe notti è una meraviglia raccontarsi la propria storia. Ritornare nella propria Betlemme.

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