Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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È sempre un po’ un trauma essere catapultati così bruscamente, dalla liturgia, presso le acque del fiume Giordano, per la commemorazione del Battesimo del Signore, ricordo e riscoperta anche del nostro.

Il brano della prima lettura, tratto dal profeta Isaia, si rivolge ad un popolo che vive a Babilonia, scoraggiato dal lungo esilio e deluso che il Signore non sappia o non voglia provvedere. Tramite le parole del profeta, riceviamo l’incoraggiamento, anche durante tempi difficili, sa guardare avanti con speranza ed intravvedere la possibilità di liberazione, prima che questa sia divenuta palese.
Letta con un occhio al Vangelo, ci aiuta inoltre a comprendere lo spirito penitenziale con cui le persone si avvicinavano, a quell’epoca, al Battista, lungo il Giordano:

L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona (Is 55,7)

Le nostre reminiscenze del catechismo ci fanno pensare al Battesimo come al sacramento con cui entrare a far parte della “famiglia di Dio”. Non da quest’idea erano, però, animati, quanti si accodavano lungo le sponde. Per questi ultimi, era consolidata la sensazione di essere già parte del popolo eletto, in quanto ebrei. Si accostavano, tuttavia, a Giovanni, con l’intento di purificarsi, in vista dell’attesa messianica, di cui parecchi vaticinavano la conclusione.
È quanto mai opportuno soffermarci su questo aspetto. Sentire parlare di empio, iniquo ci provoca sempre, inevitabilmente, un certo fastidio: le sentiamo come parole lontane, che non ci toccano mai veramente. Quindi, non prendiamo sul serio l’ipotesi della conversione. La viviamo come un simbolo, che non mette in discussione la realtà della nostra vita. Talvolta, preghiamo solo perché l’abbiamo sempre fatto, non come un’alimentazione di una relazione o nella fiducia che da ciò possa avvenire un cambiamento.
Il Battesimo dovrebbe riportarci alla consapevolezza che, se non cambiamo noi, nessuno cambia. Perché se non cambia il mio sguardo sul mondo, il mondo non può cambiare. Ma lo sguardo non cambia, se non muta ciò che lo anima, perché «Niente di ciò che entra nell’uomo dall’esterno può farlo diventare impuro» (Mt 7, 16). Ecco perché solo dopo essere cambiati noi, il nostro sguardo, riflesso nell’amore dell’Eterno, può diventare motivo di cambiamento anche per chi sta accanto a noi. Perché il Bene è più contagioso dell’influenza.

La seconda lettura delinea in Cristo stesso il fattore stesso di unità ed il portatore della pace (è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini): Paolo, apostolo delle Genti ma di fiera origine ebraica, cresciuto alle più rinomate scuole rabbiniche, nel suo cammino di piena conversione, ha sempre guardato a Cristo come al culmine delle promesse dell’Antica Alleanza. Da buon ebreo, non può pensare che Dio si possa dimenticare delle vicissitudini del popolo santo, dell’alleanza con Abramo, Isacco, Giacobbe, dei quarant’anni nel deserto, di Mosè e di Aronne, di Giosuè, della cattività babilonese. Cristo non può cancellare tutto questo con un colpo di spugna. Eppure, qualcosa cambia. Non è più necessario essere di stirpe ebraica, per poter ambire a vedere il volto di Dio. In Cristo, il Verbo si è fatto carne: ha preso un corpo, si è reso visibile, tangibile, udibile, (almeno parzialmente) comprensibile. Solo in Cristo, il cammino di ricerca vaticinato da Isaia e concretizzato dal popolo d’Israele, trova ragione e compimento, insieme con quello di tutti quei popoli pagani che, per altre vie, sono andati in cerca della Verità.

 

Il Vangelo ci mostra una delle prime uscite pubbliche di Gesù. Forse la prima in assoluto, tant’è vero che, messosi in fila coi molti in attesa del Battesimo penitenziale impartito da Giovanni, Cristo pare non essere riconosciuto da nessuno degli altri, in fila con Lui (l’evangelista non ci lascia alcuna reazione al riguardo, mentre sappiamo bene come, una volta iniziata la vita pubblica, il Messia faticasse a stare tranquillo, braccato dalle richieste della popolazione e dei curiosi e controllato, a distanza di sicurezza, dalle autorità civili e religiose). Gesù, dunque, si mette in fila con tutti gli altri peccatori, «pur non essendo peccatore» (come sottolineano i Padri della Chiesa, nei loro commenti a questo brano evangelico). Gesù ha scelto di immergersi nell’umanità sofferente a causa del peccato, prima ancora d’immergersi nell’acqua lustrale, così da poter meglio comprendere quanto in profondità e quali conseguenze avesse, nel cuore dell’uomo, quel Male che era venuto ad emendare. Per sempre.

Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. (Mt 3, 13-15)

Giovanni, il Precursore, in questo frangente, diventa quasi un ostacolo, per il Messia. L’ultimo, il più grande dei profeti, pare confuso da quest’iniziativa. Forse, potrebbe addirittura essere sfiorato che questa presenza del cugino, confuso nella folla dei peccatori, fosse il segno della necessità di aspettarne un altro (l’atroce dubbio che lacererà il cuore del Battista in Mt 11).
In quel frammento di Medio Oriente, in quella striscia fertile garantita dalla valle del fiume Giordano, circondato dall’aridità del deserto, quel giorno si aprì uno squarcio di misericordia e di benevolenza:

Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». (Mt 3, 16-17)

Non sappiamo se fu solo il Battista ad udirlo o tutti gli astanti. Di una cosa siamo sicuri. Vorremmo poterlo udire anche noi, ma con le orecchie del cuore, sussurrato a noi. Soprattutto, quando le cose volgono al peggio. Quando ci sentiamo impotenti. Quando il peccato, il dolore, la sofferenza, la solitudine ci schiacciano ed abbiamo come l’impressione di essere poca cosa, quasi un piccolo scoglio, che si frappone, pur con coraggio, ma con insufficienza, di fronte alla forza – potenzialmente – devastante delle onde di un mare sconfinato.
Con il Battesimo, abbiamo la certezza di un Dio che ci dice che anche se il Male è Potente, Lui è Onnipotente. La battaglia potrà essere aspra. Ma non ci lascerà mai soli di fronte al dilagare del Male. Parola di Chi lo ha già vinto.

 

Rif: letture festive ambrosiane, nella Festa del Battesimo del Signore, anno A – Is 55, 4-7; Sal 28; Ef 2,13-22; Lc 3,15-16. 21-22


Fonte: don Raffaello Ciccone, Parole Nuove

Fonte immagine: Pixabay

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