Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Arriva penultimo a Sanremo 2024 con la canzone “Finiscimi” e Sangiovanni (nome d’arte di un ventenne di provincia, Giovanni Pietro Damian) all’indomani della chiusura della kermesse canora, decide di scendere dalla macchina e di parcheggiare, momentaneamente: «Non riesco più a fingere che vada tutto bene e che sia felice di quello che sto facendo». Si può arrivare penultimi in classifica e, comunque, esibire un motivo per il quale il mondo potrebbe portarti in cuore? La “fragilità” ammessa da Sangiovanni è attraente tanto quanto la “noia” cantata da Angelina Mango. Tutti noi, a guardarci allo specchio, siamo materia fragile: “Attenzione: fragile!” verrebbe da affiggere sul nostro volto. Siamo fragili, anche fortissimi però: così forti che, pur con il cuore a pezzi, siamo capaci di ridere alla follia. Dipende sempre da cosa vogliamo vedere di noi: l’insieme è impegnativo.

Ammettere la propria fragilità, soprattutto quando tutto il mondo attorno ha di te l’immagine del predestinato – e tu ti affatichi per tenerla addosso anche se nel cuore sopporti ansie feroci – è di un’imprevista bellezza: quante energie spendiamo per mostrarci più forti di quel che in realtà siamo. Quando qualcuno, invece, potrebbe anche decidere di amarci per la nostra friabilità. Basterebbe trovare il coraggio di raccontarla al mondo, con pudore e senza vergogna: «Non ho più le energie fisiche e mentali» ha scritto sul suo profilo social il cantante. Non è vero che per essere amati dobbiamo sempre nascondere la nostra parte fragile: è anche vero che, nelle nostre vicinanze, ci sarà sempre un primatista mondiale nel localizzare le crepe altrui per poi spiattellarle al mondo come punti deboli attraverso i quali incunearsi per provare a sgretolarci. È la vita che è così.

Nella kermesse, Sanremo, dove le canzoni sono ormai la parte secondaria della manifestazione, a brillare è l’umano di chi viene invitato a calcare il palco per mettere in scena la sua libera interpretazione della vita: cos’altro è, l’arte, se non il tentativo personale di mettere un po’ di ordine dentro il caos della vita? Che da quel palco popolato di fiori, luci, riflessi e applausi ogni tanto qualcuno trovi il coraggio di raccontarsi per quello che è – e non per quello che il mondo e i contratti gli chiedono costantemente di essere – resta un’impresa di quelle da tramandare. Anche la fragilità, alla fine, ha a che fare con l’amore che, spesso, si canta: “Abbi cura della mia fragilità: è la parte più bella che ho”. Non conosco persona che abbia più fiducia del pubblico di colui che, al pubblico che l’ascolta, affida la propria fragilità. Sentendosi libero di poter essere fragile.

(da Specchio de La Stampa, 25 febbraio 2024)

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