faleneSono come le falene – avrebbe redarguito Karl Marx -: s’innamorano della luce delle lanterne delle case invece che della luminosità del sole che sembra ormai scomparire all’orizzonte. E’ una gioventù bruciata o, invece, è una gioventù spenta quella che ogni tanto sale alla ribalta della cronaca? Forse dovremmo dire che è semplicemente la nostra gioventù, il risultato – grazie a Dio non universale – di una cultura che, correndo troppo in fretta, ha regalato ai suoi giovani il culto dell’istante, la soddisfazione immediata di un desiderio fino a caricare certi attimi di una potenza esplosiva a volte inimmaginabile. E senza limiti: d’altronde, perchè parlare ogni tanto di domani, di conseguenze, di futuro, di responsabilità ad una generazione allattata al dettame dell’istante, dell’attimo, dell’occasione da non perdere, dell’immagine eroica? Li critichiamo: eppure tempo abbiamo fatto di un pirata della strada un testimonial d’abbigliamento, esaltando un fotografo carcerato e indagato abbiamo insegnato che il fine giustifica i mezzi, sbattendo in prima pagina giovani mascalzonate abbiamo mostrato il breve tragitto per vincere l’anonimato e cavalcare la ribalta mediatica. Perchè nell’era dell’informazione planetaria e immediata essere invisibili equivale a morire. E loro hanno tirato una semplice conclusione: siccome “del domani non c’è certezza”, nell’oggi viviamo come se fosse l’ultimo giorno della vita. Un dogma scritto non sulle severe carte dei teologi ma sui bordi biancastri delle All Stars che indossano. E questa ne è l’applicazione pastorale: la ricerca dell’ebbrezza e di un limite da superare per schiacciare la noia di una quotidianità assopita che non regala passione.
Sui binari delle ferrovie stanno monetine, parabrezza di auto, pezzi di cemento e reti metalliche. Lo fanno dopo esseri caricati: d’altronde se li ascolti declinano i cocktail come un tempo si faceva con i precetti capitali, con la dogmatica cattolica o con le tabelline dell’elementare aritmetica: Balalaica e Bambolo, Barracuda e Black and White, Old Havana, Golden Drink e Margarita. Pussyfoot, Tequila Sunrise e Vodka Martini. Sui binari delle loro esistenze forse non c’è più il concetto di tempo dei loro padri: dove si parlava d’investimento, di progettazione, di risparmio. Per loro – “iperconnessi tecnoager” – il tempo è un punto: adesso. Se domani sorgerà un altro giorno, sarà un altro punto messo vicino. Ma che nulla ha da spartire con quello prima. E con quello dopo. Se il treno deraglierà, vedremo domani come giustificare: adesso si gioca e non si pensa. Perchè sanno che nel loro mondo rinviare un’occasione d’eccitazione equivale ad essere additati a dei serial killer: chi si ferma è perduto, ha sciupato la possibilità d’essere qualcuno. Di emergere dalla foschia della strada.
Qualche acuto osservatore parla di loro come di “adolescenti poveri” che abitano una zona grigia dove il brevetto della criminalità è semplice da arraffare. La stessa zona nella quale campeggia tutta la loro ricerca della novità e il loro disprezzo per la routine fino a gridare su Facebook che il verso della canzone che più li rappresenta è “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire”. Sui binari ci spaventano, ma anche ci consolano: l’hanno fatto dopo essersi ubriacati. Rimane la speranza che da sobri possano immaginare il divertimento come qualcosa di più divertente.
Ed emozionante. Perchè la vita non è un gioco ad eliminazione ma la proiezione di un amore che chiede d’essere gustato. Meglio se a stomaco vuoto.

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