Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

shoahAdesso s’avvalgono della facoltà di non rispondere. In realtà la risposta è che “homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo), l’antica e amara constatazione che i latini tramandarono ai posteri circa la condizione dell’uomo. Perché di animalesco dev’essere imbevuta la vicenda di sevizie sessuali subite da un muratore disabile trevigiano se pure il procuratore Fojadelli – uomo abituato all’avventura della strada – rimane sconcertato dalla crudele gravità di quei 15 video dell’orrore. I particolari dell’umana bestialità non serve ripeterli: rimane quella nebbia nel pensiero che c’avvolge ogniqualvolta l’uomo supera se stesso stupendo per la sua incredibile creatività nel male.
“La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno” – affissero giorni fa sui bus di Genova -. Ma l’episodio di Treviso mostra che non è tanto la morte di Dio a far più notizia, quanto la fine dell’uomo. Diventato adulto, l’uomo ha decretato l’inutilità di Dio e di un significato ultimo da dare alla sua vita. Ma quei video dell’orrore – pur non essendo i soli – dimostrano come alla morte di Dio corrisponda l’avanzare di un vuoto esistenziale. Se per ridere, gioire e far brillare gli occhi la nostra società necessita dell’umiliazione di un disabile allora la morte degli dei non è più l’aurora della risurrezione e della libertà. Ma l’anticamera della disperazione, quella disperazione che nasce da un vuoto nell’anima che si tenta di riempire con gesti di follia e di disumana esaltazione. Come se un ballerino, apprestandosi a danzare senza copione nella memoria, scoprisse d’aver perso il senso dell’equilibrio avvertendosi scentrato dopo i primi passi. Eppure chissà quante volte la vita invertirà i ruoli mettendo noi dalla parte dei deboli, degli indifesi, degli umiliati.
Forse c’è ancora qualcuno che, colpito dall’imprevedibilità di certe gesta, avverte l’angoscia di chi fatica a leggere la direzione verso la quale tende l’umanità oggi. Correre è un comandamento: nella tecnica, nel virtuale, nell’esistenza. Ma accettando di correre a fatica c’accorgiamo che si riducono gli spazi del silenzio personale e della condivisione. Fino a far inaridire quella zona dell’interiorità – ben lontana da un errato sentimentalismo – che va sotto il nome di cuore: sede di pensiero, di ascolto e di progettualità. Eppure dentro questa trama di ordinaria follia siamo chiamati a testimoniare la bellezza dell’esistenza. D’altronde la natura c’insegna che per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte, quasi che dentro il buio abitasse il laboratorio segreto nel quale si costruisce la luce. Perché è di luce, di serenità e di desiderio che questi carnefici hanno bisogno per sostituire alla malinconia annoiata di tante giornate la forza di gesti che sappiano dare significato alle storie degli uomini. O, più semplicemente, il gusto di saper ascoltare dietro gli occhi di un diversamente abile una sinfonia di capacità creativa, di fantasia e di possibilità che le sue disabilità fisiche apparentemente nascondono. Non un’occasione di sghignazzate da esibire all’osteria. Quella dell’oste o quella di Youtube poco importa.
Ma se l’uomo per l’uomo è un lupo c’è anche la speranza di convertire il sogno: “homo homini Deus” (l’uomo è un Dio per l’uomo).
Forse c’è rimasto solo l’amore come antidoto e terapia alla follia.

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