Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

obeytv“Turismo dell’orrore”, lo definisce qualcuno. “Problema di viabilità” sminuisce, o, forse, pragmatizza, il sindaco di Avetrana.
La realtà dei fatti è sotto gli occhi di tutti: dal momento dell’accaduto, si sono succedute, freneticamente, le reazioni più disparate, si è sfiorata la follia, l’inciviltà e, in più di un’occasione, si sono anche oltrepassati i limiti preposti dall’educazione e dal buon senso.
Si sono moltiplicati i gruppi sul web, insieme con gli insulti e le minacce, dando vita a una gogna mediatica a tutti gli effetti. Salvo poi mutare in modo compatto la propria reazione in seguito all’inserimento di Sabrina, la cugina, tra i possibili colpevoli, o quanto meno collaboratori, all’interno del delitto di Sara Scazzi.
Una confessione mediatica, in diretta televisiva (o quasi); e il mostro è sbattuto in prima pagina. Una ritrattazione, un approfondimento delle sue dichiarazioni; e la gogna mediatica diventa condivisa con la figlia, in un turbinio di nuovi, ingiuriosi commenti. Tante certezze vacillano, la storia pare meno chiara del previsto e tanti commentatori illustri si trovano costretti, loro malgrado, a fare marcia indietro sulle loro facili conclusioni a proposito del delitto, delle cause, del movente.

Fosse la prima volta, dovremmo stupirci. Invece non è la prima volta. Proprio per questo non siamo stupiti. E forse neanche inorriditi. Forse non sappiamo neanche più stupirci, chissà.
È pur vero, ed è impossibile negarlo, vi sia certamente un coinvolgimento emotivo iniziale di grossa portata e, almeno nella fase iniziale, l’interesse è (nella maggior parte dei casi) assolutamente sincero e dettato dall’inevitabile sconcerto che causano fatti di cronaca di questo tipo, che vanno ad interessare la stima, la fiducia e l’affetto che nutriamo nei confronti delle persone a noi più care, che condividono con noi la fatica quotidiana, nelle nostre case e nelle nostre famiglie. Senza andare a ricercare nella cronaca del passato, fatti recenti si affiancano alla stretta attualità. Penso alla vicenda di Elisa Claps, emersa alla ribalta per poi sprofondare nell’oblio più totale, tra confusione e insabbiamenti più o meno voluti o cercati. Non ultime, ci sono le vicende della morte ancora oscura del piccolo Samuele e di Meredith Kercher: drammi che hanno riempito pagine e pagine di rotocalchi e quotidiani, senza disdegnare l’attenzione di varietà e programmi di riempimento.
Più di una persona è stata additata per il suo amore per le telecamere, si moltiplicano i mitomani e quelli che cercano la “notorietà a tutti i costi”, anche sfruttando la scia lasciata da tragedie come queste. Ma non sono, forse, neppure queste le cose più preoccupanti in senso assoluto. Anche se inquieta non poco pensare che ci possa essere l’eventualità, nient’affatto remota, di persone capaci di commettere i più atroci delitti con il solo scopo di rientrare in un obiettivo: quello della telecamera. Troppi Grandi Fratelli (e affini, che affollano le nostre emittenti) ci hanno atrofizzato i neuroni? Forse, per questo, bastano due trasmissioni ad hoc, qualche messaggio subliminale qua e là, l’immagine con il giusto pathos, magari con l’aggiunta – ciliegina sulla torta – del commento del tuttologo di turno per pilotare l’opinione di masse intere di popolazione. Questo mi preoccupa personalmente anche di più, facendomi dubitare su quale sia il livello di senso critico posseduto dall’ascoltatore medio (risultato che non sarebbe insolito, dal momento che “essere uguali agli altri” pare sia un grande fine da perseguire: tutti uguali, nella stupidità, piuttosto, ma guai a fare lo sforzo di pensare!).
Già in troppi hanno parlato, in modo più o meno opportuno, a riguardo di queste vicende. Non intendo aggiungermi a questa frenetica giostra di interrogazioni: però mi sorgono un paio di interrogativi, più generali, al riguardo.
Depistaggi e pressioni alle indagini non possono aiutare chi si sta impegnando (come mi auguro che stia accadendo) a scoprire la verità. E allora perché, di continuo, assistiamo a queste “perturbazioni mediatiche”, di grande intensità e di breve durata, che, in fondo, non sono utili a nessuno (né a inquirenti, né a spettatori), se non a chi ne trae profitto (in termini di ascolti e, quindi, introiti pubblicitari)?
Tante persone sono morte per difendere la Verità: hanno preferito salvaguardare quella piuttosto che la propria vita. Non è – mi domando – che il problema sia più profondo: siamo, cioè, così abituati a svilire e “svestire” di ogni riguardo la verità, che ormai questa ha perso, ai nostri occhi, ogni valore, e fatica quindi a trovare diritto di cittadinanza presso di noi?
Mi chiedo infine se davvero ci interessi svelare la verità, oppure se preferiamo, in modo più o meno palese, accontentarci di opinioni. Magari di quella, tra le altre, che avvalora la nostra tesi, o che scuote meno le nostre coscienze e ci consente di non uscire dal nostro torpore.

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