Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

20100907_angelo_scolaCome per i grandi generali dell’antichità: l’importante è andare, conquistare la terra e ritornare. Dove l’andare rappresenta la sfida di uscire dentro le strade del mondo, il conquistare la terra corrisponde al coraggio di farsi forza di un messaggio d’altissima umanità e il ritornare è il sinonimo di un incontro ben riuscito laddove la maggioranza aveva già gettato la spugna. Fosse un allenatore, il card. Angelo Scola – che in questi giorni ha dato l’annuncio del suo immimente trasferimento nella diocesi di Milano – avrebbe apprezzato più l’attacco preventivo che il giocare “a catenaccio”, ovvero in difesa ad oltranza. Nella terra veneta c’è arrivato dopo i pregiudizi che viaggiavano sul suo conto, sopratutto il fatto d’appartenere al popolo che si rifà all’esperenza di don Giussani, il papà di Comunione e Liberazione. Un cardinale di destra, venuto da Roma, ostico nella scritturazione del suo pensiero. Li ha smantellati uno ad uno i pregiudizi, forte di quella profonda luminosità di pensiero che gli ha permesso di dimostrare ancora una volta – sopratutto al popolo della sacrestia – che oggi il cristianesimo o accetta il rischio di diventare cultura o perderà la sua capacità di abitare i grandi snodi del pensiero contemporaneo. In meno di un decennio ha rotto gli schemi e ha mostrato che quando il cristianesimo lascia spandere il suo profumo originario la gente sente ancora nascere dentro di sé la nostaglia dell’Altro.
Un uomo dalla vastissima cultura che ha riportato in auge il pensiero cristiano raccogliendo come risultato un’inaspettata sete di verità, di libertà e di fratellanza. Tutto questo non è un caso per coloro che tra le sue righe hanno sempre avvertito l’invito alla “vita bella” proposta dal cristianesimo. Per troppo tempo ci siamo soffermati solo ed esclusiavamente a parlare della Bontà e della Verità come termini per parlare di Lui ed attorno a Lui. Il cardinale Scola – amico di teologi che hanno scritto pagine di speranza nel secolo scorso – ha rischiato nel parlare anche e sopratutto della Bellezza del cristianesimo. Quasi a voler dimostrare al popolo cristiano – che troppo presto ha gettato le armi – che la vittoria tra la rilevanza e l’irrilevanza del cristianesimo potrebbe giocarsi proprio sulla bellezza, sull’annuncio di un Dio che seduca, sorprenda, provochi e incanti. Al mondo pagano Verità e Bontà sanno troppo di intransigenza: c’è rimasta la Bellezza per tessere ancora legami con i pensieri moderni.
Testimoniare la “bella vita” del pensiero cristiano non è pubblicizzare la “bea vita” raccontata nel tessuto della nostra splendida terra veneta, ma un invito suadente a ritrovare la serenità delle relazioni affettive, dei rapporti umani e dell’amabilità del cristianesimo dentro un pensiero di chiesa che troppo spesso le ha tacciate di eresia condannandole a vivere fuori dalle sue mura.Quando – stando alla teologia del cardinale Scola – la fede non uccide l’intelligenza ma la tiene in quota, non spegne la razionalità e la sessualità ma le tiene in vita. Non umilia la dimensione affettiva ma la custodisce e l’alimenta con gelosia. Il divino non boccia il lato umano della storia ma lo promuove ed esalta al grado massimo. Invitando all’innamoramento.
“Non voglio servitori ma uomini appassionati” è una delle sue frasi più belle. Grazie Eminenza per aver ricordato al popolo di Chiesa che anche il cristianesimo necessita di passione, di colori e di un pizzico di sana follia. Perchè i nostri nomi non corrano un giorno il rischio di essere annotati nei dimenticatoi della grande storia dell’umanità.

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