Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Prayer

Difficile trovare scena più tenera dell’apprensione del re di Davide, che si premura di trovare una dimora per l’Onnipotente («Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto una tenda» – 2Sam 7, 2). Ma ancora più sorprendente è la risposta che Davide si vede recapitare, tramite il profeta Nathan, da Dio: «Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. […] Sono stato con te dovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. […] La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2 Sam 7, 6 e ss.). Infatti, non sarà il re Davide, bensì suo figlio, re Salomone, nato dalla relazione incestuosa con Betsabea, a fornire a Dio una dimora, nel famoso “tempio del re Salomone”, noto in ogni angolo della terra per il suo splendore.

Nell’arca non c’era nulla se non le due tavole di pietra, che vi aveva deposto Mosè sull’Oreb, dove il Signore aveva concluso l’alleanza con gli Israeliti quando uscirono dalla terra d’Egitto. (1Re 8,9)

Non c’era nulla, se non la cose più preziosa: la testimonianza dell’alleanza di Dio col popolo d’Israele, in quelle tavole di pietra. Ancora oggi è così. Possiamo frequentare il più grande capolavoro d’architettura religiosa, eppure ciò che di più prezioso esso conterrà sarà sempre quel nulla – apparente, che è l’alleanza del Dio-con-noi, in quel frammento di pane non lievitato: fragile, semplice, umile, quasi insignificante, sempre in contrasto con la mentalità del mondo, che ricerca sempre lo sforzo per potersi stupire. Dio si nasconde in qualcosa,che è poco più di niente, per continuare ad essere nostro compagno di viaggio.
Noi siamo il tempio del Dio vivente (2 Cor 6, 16), ci ricorda San Paolo. quasi a ribadire che più dell’edificio di pietra (bello, brutto, disdicevole, decoroso, capolavoro, oppure inguardabile), siamo noi il primo interesse del Padre. È a noi che volge il proprio sguardo ed è in noi che vuole abitare, perché è con noi che vuole condividere la strada, così come fece con il Popolo d’Israele. Ecco perché la prima casa da spolverare, ripulire, sistemare, perché possa esserGli luogo gradito è il nostro essere. Qualcuno dice il cuore. Ma il cuore non basta. Ad essere limpidi debbono essere anche i pensieri (liberi da invidia, retropensieri, secondi fini, ipocrisia). L’uomo esige l’integrità della propria esistenza in un unicum di mente, anima, cuore e corpo. Spesso, infatti, il malessere che sperimentiamo sorge proprio quando avvertiamo di essere divisi, frammentati, sparpagliati tra mille interessi, che però non ci portano verso alcuna direzione che sia decisiva, per la nostra vita.

Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto: / “Dalla bocca di bambini e di lattanti / hai tratto per te una lode”?» (Mt 21, 13 -16)

Non è sempre facile, per noi, riconoscere questa lode, che nasce dalle labbra dei piccoli, quando assume le sembianze di strilli e corse a perdifiato, pianti ininterrotti, chiacchiere senza sosta, proprio nel momento clou della celebrazione eucaristica.
Sono sicura che sia così. Se Gesù – ce lo attesta il Vangelo – è in grado di riconoscere questa lode, sicuramente lo Spirito Santo suggerisce gemiti inesprimibili, che Dio riesce a decifrare come lode al Suo nome anche in quegli atteggiamenti che a noi paiono poco consoni ad un luogo di culto.
Era lo stesso che pensavano i capi dei sacerdoti, eppure si sbagliavano. Questa era la “compagnia di Gesù”, per le strade della Galilea: ciechi, storpi, fanciulli. Tutta gente senza diritti, di poco conto (di fronte alla legge, alla giurisprudenza, alla mentalità dei potenti). Proprio loro sono stati, tuttavia, i primi a riconoscere nel rabbi venuto da Nazareth l’opportunità di un reale riscatto nascosta nel periodo critico di una Gerusalemme schiava di roma, come il gheriglio della noce, ben nascosto all’interno del duro endocarpo. Proprio loro, esclusi e reietti dalla società, sono stati il nucleo originario da cui ha preso inizio quel Regno dei Cieli, iniziato su questa terra, con uno sguardo rivolto all’eternità.

(cfr. letture festive ambrosiane nella X Domenica dopo Pentecoste)


 Fonte immagine: Compassionuk.org

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