graffiti

Poteva essere una delle tante frasi che i ragazzi lasciano sui muri come segno del loro passaggio. Eppure quella frase, scarabocchiata quasi certamente da una mano di ragazza, stregò il mio sguardo: “immaginare è toccare il futuro come fosse un ricordo”. La lessi più volte e, complice la calura di una serata d’agosto, la liquidai come nient’altro che una stravaganza: l’esperienza del toccare, la dimensione del futuro e la memoria del passato erano tre dimensioni che nella mia memoria mai avrebbero potuto coabitare contemporaneamente. M’incuriosì, però, che un’anima giovane – uno di quelle alle quali sovente si ama attribuire l’incapacità di apprezzare il tempo – avesse racchiuso in un semplice graffito le tre fasi dell’esistenza, ovvero il presente (immaginare ora), il passato (il ricordo) e il tempo a venire (il futuro). Una semplice scritta lasciata in calce ad un muro anonimo e scrostato?
Rincasai tra le sudate carte della mia tesi di dottorato e, frastornato dall’eco di quella frase, m’imbattei in una pagina di “Lumen fidei”, la prima enciclica di papa Francesco: “tuttavia la memoria cristiana non è fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, sia strettamente legata alla speranza” (Lumen fidei, 9). Che cosa differenzia l’espressione d’altissima portata di un Papa con l’apparente leggerezza di una scritta giovane lasciata sul muro di una città? Il Papa parla della speranza come di una specie di ribellione alla stanchezza del tempo presente, quasi una forma di anticipo dell’Eterno dentro il quotidiano: quello che la ragazza, probabilmente allergica a certi discorsi di Chiesa, ha racchiuso nel suo verbo “immaginare”. La stessa nostalgia di novità, dunque, in entrambe le anime, quella di Francesco e quella della ragazza. Fin quasi, senza saperlo, a tratteggiare la medesima nostalgia che diventa sfida: immaginare (il Papa userebbe l’espressione “fare memoria”) è toccare il futuro (“diventa capace di aprire al futuro”, scrive il Papa”) come fosse un ricordo (“fissa nel passato (…) è memoria di una promessa”). In entrambe le frasi – formulate ciascuna con il loro alfabeto e la loro grammatica – lo stesso annuncio: sperare in un tempo diverso non è una pia illusione, ma è conseguenza di una promessa che, fatta nel tempo passato, è già operativa nella costruzione del futuro. Un’unica differenza ho annusato nel sovrapporre le due espressioni: il Papa l’annuncia come una scoperta affidabile alla quale aggrapparsi nella fatica del quotidiano, la ragazza l’ha scarabocchiata nelle vesti di una nostalgia che chiede di essere saziata per costruirsi una vita da protagonista.
I poeti – scriveva Gianni Mura – servono proprio a questo: a farti capire la vita parlando di una buccia di mela. Forse anche i graffiti servono lo stesso scopo: a farti entrare dentro una città che pensavi di conoscere – com’è il mondo dei giovani – per uscirne con addosso un’insospettabile scoperta: che il loro disinteresse verso le grandi questioni dell’esistenza altro non sia che la nostra poca voglia di inabissarci dentro le pieghe del loro animo. Laddove, celata dietro il loro linguaggio, campeggia statuaria una nostalgia che non è il semplice rimpiangere ciò che è passato, ma il lieto annuncio di un presente che si costruisce ricordando il passato e desiderando il futuro. E’ un Papa che ancora una volta stupisce per la sua concretezza; è un’anima giovane che ancora una volta stupisce per quella testarda voglia di non rassegnarsi alla sonnolenza del presente.
Il tutto nascosto in un graffito lasciato sul muro scrostato di una città.

(da Il Mattino di Padova, 11 agosto 2013)

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