Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Una castità pagata al prezzo d’essere imprigionati dentro una stanza con delle robuste inferriate alle finestre? Anche no: “Grazie!” Perchè una castità che non lasci i segni dei morsi sul cuscino è la più insulsa delle forzature: trattenere gli istinti è da bambini, allargare gli orizzonti è da poeti. “Castità, questa grande sconosciuta!” verrebbe da dire. Oppure, ad essere ancora più sinceri: “Questa grande fraintesa”. Misconosciuta e anche derisa perchè la si ama confondere con l’astinenza sessuale, il celibato: “Quella cosaccia che riguarda i preti (come me) e le suore”. Assomiglia dunque ad una cosa leggermente naif, quasi fuori moda, senza più mordente in un mondo dove il possesso e la velocità, anche di appartenersi e non appartenersi più, costituiscono i due estremi del metronomo che detta i ritmi del tempo, delle mode. Del modo di amare, di essere amati.

Il grado d’imputazione è sempre lo stesso: “E basta con questo non fare, miseria”. Come se castità significasse “non fare”: questo, quello, quell’altro. Una vita così, in effetti, sarebbe una vita di stenti, dove cuore e sentimenti sarebbero poco più che un orpello, per di più di abbellimento. Castità, invece, non è tanto il “non fare” ma il “fare diversamente”: non si tratta di non amare, ma di amare in un modo diverso. Forse anche più in profondità, se è vero che un amore casto è un amore che evita di ridurre la persona ad un semplice strumento di piacere, di non cadere nell’egoismo anche quando è in gioco il cuore, di non lasciare come traccia del tuo passaggio un senso di sfruttamento. Di una certa violenza anche se, magari, non è penalmente rilevante. La castità, quand’è in corso, appende il cartello all’ingresso: “Divieto di manipolazione”. Qualcuno, leggendo, dirà: “Tutta roba passata!” Eppure, sfogliando anche il più sintetico dei vocabolari, la castità non si identifica né con l’astinenza né tantomeno con la verginità. Due sfide alle quali pochi si sentono, lecitamente, chiamati. E tra quelli ai quali magari è parso di essere chiamati, non è forse sempre vissuta nella sua versione migliore. La castità è molto di più, si allarga a dismisura nell’umano fino ad essere abbinabile a tutta l’esistenza: è il tentativo di arginare il brutale istinto a possedere.

Prima che essere una gioia, dunque, è una sfida, forse una delle sfide più ardite: non riguarda soltanto gli organi riproduttivi maschili e femminili, riguarda la complessità dell’essere umano. E’ uno stile che ha a che fare con le mani e le parole, gli sguardi e i pensieri, il detto e il non detto. Con l’ascolto, la vista, la testa e la memoria. Prima che essere una virtù, è uno stile di vivere, di sognare, di appartenersi. Ha a che fare con l’amicizia, l’amore e i loro affini: castità, vale la pena ricordarlo, non è castrazione. Perchè nessuno, isolandosi da ciò che più appartiene all’umano, potrà pensare di scoprire chi è veramente. Tanto più oggi che, nell’era dei social e del “sempre connessi”, sentimenti e pulsioni vengono vissuti così a lungo e a fondo virtualmente da non riuscire più, poi, a viverli nella realtà. Ci si innamora senza la vera presenza dell’altro, i sentimenti si narrano a livello di emoticon e smile, l’atto sessuale viene più immaginato che vissuto.

Ho perduto troppe partite, sinora, in questo campionato per credere che la castità sia un’avventura alla portata di tutti. Nel caso avrebbe ragione Publio Ovidio Nasone a sostenere che «è casta colei che non è mai stata sollecitata». È sempre costata carissima una virtù, una buona azione. Soprattutto oggi quando il mondo che abitiamo sembra svilire la consapevolezza che una persona possa crescere assumendosi con coraggio le sue responsabilità: quando si tocca un corpo, non si tocca mai qualcosa ma una persona. Quella con cui può nascere il paradiso, ma anche sollevarsi l’inferno. Per troppa prepotenza, magari.

Da anni tengo collegata la “castità” al “pudore”: lo ritengo, ad oggi, la vera trasgressione del momento. Pudore che non è questione di vesti, di sottovesti o di abbigliamento intimo. Possedere del pudore è essere capaci di vigilanza: è il decidere da sé il grado di apertura o di chiusura verso l’altro. La castità esige il pudore: «Se vuoi essere felice – scrive Elias Canetti – non andare sempre fino in fondo. C’è anche tanto in mezzo». Il pudore preserva l’intimità della persona, conserva il silenzio e la riservatezza dove traspare il rischio della morbosità. È il pudore che, ai miei occhi maschili (le donne rovescino il paragone) conferisce un’invincibile attrattiva. È un qualcosa di estremamente elegante, possiede una delicatezza tutta sua: pudore nel mostrarsi, nel linguaggio, nel rapportarsi.

Il pudore della castità: più che con il celibato, penso abbia a che fare con il voto di vastità. Di un pensarsi, guardarsi, toccarsi come fossimo non corpi da gioco ma frammenti di mistero. Ripenso alla mia castità: tra miseria e nobiltà.

(da Specchio de La Stampa, 21 maggio 2023)

7 Responses

  1. Grazie don Marco per queste parole che aiutano la mente e il cuore. Buona festa dell’Ascenione 🙏💞🙏

  2. Grazie don la tua delicatezza nell esporre certi temi e straordinaria .. Un abbraccio e buona domenica dell ascensione del Signore

  3. Grazie per l’esposizione sincera e trasparente fonte di confronto e riflessione! Buona Domenica

  4. Alla mia eta ‘ matura sposata da 44 anni con due figli e un marito poco spirituale….. Non POSSO che dirti bravo x questa bella riflessione che da anni rimurgino nella mia mente con domande che non sempre hanno una risposta .
    X una credente praticante come me non e’ Mai stato facile capire in fondo questo argomento
    ecco che arrivi tu con lo Spirito Santo ad illuminare la mia mente a riempire il mio cuore di pace e di serenita ‘ .
    Benedetto don Giovanni che ti ha portato a BustoGarolfo xche’ conoscerti personalmente e’ stato un dono x la nostra comunita’ e specialmente x me che ti seguo da qualche anno. 🙏🏼 affinche’ scendano su di te benedizioni abbondanti .ti abbraccio e sempre ti ricordo 🙏🏻 Caterina😘

  5. Ecco, castità e pudore camminano insieme e insieme vengono sottovalutati come “cose d’altri tempi” invece sono dimensioni dell’anima profonde scelte di attenzione agli altri, all’Altro…
    Grazie don Marco perché ci sei e perché sei così come sei.

  6. Grazie don Marco del suo “punto di s-vista”, che ho molto apprezzato per il modo con cui ne ha parlato. Buona serata. 🙏🏼❤️

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