Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Aristotele un tempo disse: “l’uomo è un animale sociale”.
Stando alla sua esperienza personale, questo grande pensatore ha ritenuto che tale definizione potesse essere appropriata per il genere umano; ma le parole di questo filosofo possono essere ritenute valide ancora oggi? L’uomo è ancora un animale sociale o sarebbe ormai più appropriato definirlo “un animale social”?
Il web ha portato all’umanità vantaggi innumerevoli e indiscutibili; nessuno oggi si sognerebbe di dire che internet sia inutile, o che si potrebbe vivere tranquillamente in una società moderna senza l’ausilio di tale congegno. Questo strumento ha semplificato la vita degli uomini all’interno della società civile in una maniera indescrivibile: basti pensare all’utilizzo delle mail, lettere istantanee che hanno sostituito la scrittura delle lettere “classiche”, oppure al fatto che se vogliamo scoprire qualcosa ci basta un “click” sul computer senza dover consultare enormi enciclopedie, o anche alla comodità di poter parlare con un amico che si trova a chilometri di distanza. E’ fuori discussione: internet è uno strumento utile e insostituibile, ma come tutte le cose, purtroppo, è una medaglia a due facce.
Tra i numerosi pericoli che si celano nel mondo virtuale, uno in particolare si sta facendo sempre più largo: è l’uso improprio dei social network, che porta molti a preferire la vita virtuale a quella reale, rendendoli vittime della “Sindrome da Social Network”.
“Sindrome da Social Network”. E’ questo che Internet è diventato nel XXI secolo: una malattia.
Con il termine “social network” non intendo solamente Facebook, Twitter o Instagram, bensì anche le app come Whatsapp o Messenger, che permettono di chattare all’infinito con un amico; le possibilità che regalano questi strumenti, di per sé, sono brillanti e utili, talvolta anche divertenti, ma il problema è che hanno così conquistato i loro utenti che spesso essi non sono più in grado di farne a meno.
Giovani e adulti sono coinvolti; la sindrome si sta diffondendo ovunque, e non si può smettere di denunciare tale fatto fingendo che tutto ciò non esista. Spesso chi ci conosce meglio è il nostro motore di ricerca, usiamo molto i social network perché troviamo l’illusione di avere una moltitudine di amici, scattiamo foto di panorami mozzafiato pensando già ai likes che faremo su Instagram e, quando malauguratamente il cellulare è scarico e si sta spegnendo, diciamo che “sta morendo”, per sottolineare la gravità della situazione.

Questa tematica è stata più volte affrontata nel corso degli anni, e molti potranno dire che la situazione è migliorata, che sono una minoranza i ragazzi che preferiscono stare davanti al PC piuttosto che uscire con gli amici, e che la questione dell’attività online non è più un pericolo; tutto vero forse, ma sicuramente non lo è l’ultimo aspetto: le chat e i profili online sono un problema quotidiano, ancor più presente che in passato, in quanto colpisce anche moltissimi adulti che spesso pensano di non essere “infetti”, e hanno il coraggio di riprendere i propri figli sulla quantità di tempo in cui usano il cellulare, quando invece sono loro i primi a postare la foto dell’ultima torta sfornata su Facebook o a comunicare ogni minima cosa su Whatsapp nel gruppo che hanno con le amiche, neanche fossero adolescenti che si aggiornano continuamente sugli sviluppi delle loro prime relazioni amorose.
Probabilmente è vero che la dipendenza da strumenti come ad esempio Facebook e Twitter è diminuita, anche se non scomparsa, ma è anche vero che la sindrome si sta presentando sempre più sotto forma di chat, che attraverso applicazioni come Whatsapp o Telegram stanno cambiando radicalmente il modo di comunicare. Il vero problema di oggi è questo: la conversazione e la comunicazione con il prossimo tendono ad essere sempre più online invece che reali, tendono sempre più ad essere composte da brevi frasi scritte invece che da lunghe chiacchierate condite da sguardi e contatto fisico.
Oggi, quando non si vede un amico da molto tempo, tendenzialmente pensiamo “gli scrivo” e non “lo chiamo”, e ancor peggio è quando l’amico in questione abita a qualche centinaio di metri da noi, e invece che vedersi una sera gustando una birra ghiacciata, si passa due ore a farsi venire i crampi alle dita stando sdraiati ognuno sul proprio divano e scrivendosi a vicenda, discutendo del più e del meno.
Tralasciando il fatto che continuando a scrivere messaggi si disimpara completamente a scrivere in italiano, la mania di inviarsi brevi scritti conditi da emoticons sta facendo dimenticare ad adulti e ragazzi la bellezza del vero dialogo, quello fatto di risate sonore e non scritte, quello fatto di un vero bacio e non di una “faccina” col cuore, quello fatto di onde sonore e non di onde radio. 

Forse, il motivo per cui facciamo incetta di messaggi e chat è che non sappiamo più affrontare le difficoltà del confronto “faccia a faccia”; preferiamo essere protetti da uno schermo che ci permette di riflettere meglio su cosa dire, che ci permette di sembrare distaccati dopo un litigio, quando in realtà sappiamo benissimo che se avessimo davanti la persona con cui stiamo chattando la abbracceremmo senza esitare, oppure perché abbiamo paura di esporci troppo andando a citofonare a casa di qualcuno, e quindi scegliamo un approccio più sicuro per rompere il ghiaccio, scegliamo di scrivere un messaggio che non ci sbilanci troppo. Talvolta è vero che il testo scritto si rivela una vera “manna dal cielo”, e si rivela la cosa più appropriata per la situazione, ma non dobbiamo mai dimenticare che ci è stato dato il dono della parola. La parola è uno dei più grandi regali mai fatti all’uomo: è ciò che trasmette appieno i nostri sentimenti, quello che stiamo pensando, ed è ciò che ci permette di vivere pienamente la relazione con l’altro; la parola può essere complicata, ma se si è onesti con se stessi, nessuno può dire che la soddisfazione che si prova dopo due ore trascorse a “messaggiare” con una persona a cui che teniamo, che può andare dalla ragazza a un amico, sia superiore alla gioia e all’appagamento che si prova dopo anche solo un’oretta passata al parco su una panchina a chiacchierare, abbracciare, ridere, baciare la persona che ci sta davanti, in maniera tangibile, e non rinchiusa in una piccola foto in alto a destra nella chat di Whatsapp.
Nessuno è immune dal rischio di trasformare ogni relazione in un contatto a distanza per mezzo di uno schermo luminoso. Ognuno di noi deve stare attento a capire se il suo cellulare è ancora solo uno strumento che lo aiuta o se è diventato il suo padrone, perché se Aristotele ha ritenuto opportuno definire l’umanità “sociale” ci sarà stato un motivo; nessuno deve lasciare che la tecnologia prenda il sopravvento, e arrivi a controllare la sua vita privandolo della bellezza del contatto coi propri simili, perché è vero che internet permette una connessione, ma è un concetto effimero perché il “social” ti rende “anti-social”, ti fa perdere la realtà e ti disconnette da ciò che significa vivere nel mondo vero; quel mondo che ci permette di gustare le vere gioie, i veri dolori, le vere fatiche e le vere gratificazioni…Quel mondo che ci permette di gustare la vera vita, quella reale, l’unica di cui conti davvero fare esperienza.

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