Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Quello del 2013 fu un inizio di primavera al ritmo di porte e finestre. Mentre una porta si chiudeva – avvolgendo nel silenzio l’esile figura di Benedetto XVI – una finestra si aprì al mondo, sul mondo. Dal balcone s’affacciò un uomo, ai più sconosciuto, andato a scegliersi il nome più conosciuto dei nomi di Chiesa-vera: Francesco d’Assisi, trasmigrando corpo, diventava nome papale. E la storiaccia di quel giovanetto che dalle campagne d’Assisi tentò (riuscendoci) di rimettere il Cristo-povero al centro della scena, divenne in un battibaleno il sogno di Chiesa del nuovo arrivato, Papa Francesco. D’allora, niente fu più come allora: sei anni, giusto oggi, vissuti nel nome del Padre, sotto lo sguardo custode della Madre, in scia a quel Figlio che Francesco và a recuperare nei cocci di quelle storie che ai più sembrano perdute, sfatte, striate. Persino luride di miseria, peccato, astio.
Sei anni è poco più che un lustro, polvere di stelle al confronto dell’Eterno: la storia sacra non sopporta i bilanci, nel rendicontarla minaccia vendetta, è il festival della duttilità. E’ la storia, sia sacra che profana, a mostrarsi un perpetuo lavoro-in-corso: rallentamenti improvvisi, accelerazioni repentine, frenate, code, ingorghi. Incidenti. L’unico bilancio possibile, quando c’è di mezzo l’estrosità di Dio, è lo sguardo: verso dove fissa, cosa mette a fuoco, di quanta ampiezza è capace. Francesco è uomo di sguardo capace di ascoltare, ingrandire, sminuire e rammendare. Chi lo visita ammette la potenza di quello sguardo: è presente a se stesso, fa sentire unica la persona o la storia che ha di fronte, s’interessa. E’ lo sguardo della storia cristiana. Il cristianesimo non è sempre esistito: è nato in un preciso momento della storia, ne sta condividendo un tratto. E’ germogliato il giorno in cui Dio ha iniziato ad interessarsi in prima persona dell’uomo, finchè è arrivato a sporcarsi di giorni, ore, attimi. Odorando, Lui pastore, dell’odore delle sue pecore. Francesco è di Cristo, nonostante in tanti dicano ch’è del mondo: si mantiene giovane, mantiene giovane l’attrattiva del suo Dio, non adeguandosi alla logica del mondo ma restando al ritmo della storia. Alla logica del possesso ha scelto da subito quella del processo, nella più fedele continuità di suo padre, Ignazio di Loyola: non conta il possedere una terra bensì l’aprire un processo. “Non ha portato a casa niente in sei anni”, dicono in tanti. E’ una frase di vittoria nella sua logica. L’importante non è conquistare ma aprire: con testa, cuore e intelligenza. Scegliendo di non arroccarsi nella difesa di un’immutabile presenza storica, ma abitando l’intreccio confuso della quotidianità: «Questa memoria non (è) fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via» (Lumen fidei, 9). Nel presente saper gettare lo sguardo al passato per disegnare il futuro: non è cosa da poco.
A casa non ha portato nulla: è un Papa, dunque, sfaccendato o poltrone? Ad una lettura diabolica, potrà anche sembrare: fare l’autopsia è di Lucifero. C’è anche una lettura simbolica, d’insieme: qualora fosse vero che non ha portato a casa nulla, ha portato fuori-di-casa lo sguardo. Che, per chi ne capisce, è come aver portato a casa il segreto per arricchire la casa. L’entrare nelle carceri – nel porto di Lampedusa, celebrare l’eucaristia vicino al muro messicano, scrivere il magistero più coi gesti che con le parole – è stato come prestare il suo sguardo al mondo per illuminare quegli anfratti dove l’ordinario racconta la lotta tra la vita e la morte, la verità e la menzogna. Aprire la porta, curare le ferite, annunciare stagioni di misericordia: annunci e incontri che si sono fatti complicità di sguardi tra il Papa e l’uomo. Tra il Cielo e chi il Cielo, per chissà qual motivo, l’ha perso.
Nessun bilancio è possibile. Ciò che è palese, a sei anni da quella serata primaverile, è la forza d’urto di quello sguardo: rapace, amabile, netto. Per chi accetta d’abitare (in) quello sguardo, ciò che si contempla sono le manovre di Dio, niente facili da decifrare. E’ materia da trattare ed esplorare in ginocchio.

(da Il Sussidiario, 13 marzo 2019)


(photo@OsservatoreRomano)

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