Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Roger Federer, fresco fresco della vittoria ottenuta agli Autralian Open e nuovamente numero 1 al mondo, non può che essere definito come uno dei più grandi, se non addirittura il più grande, tennista di tutti i tempi.
Michael Jordan, icona assoluta del basket oltreoceano e non solo, è diventato per definizione il più forte cestista della storia nonostante oggi molti amanti di questo sport pongano al suo stesso livello, pur con tutte le differenze dovute a causa del periodo di attività, “Il Prescelto” , “The Chosen One”, ossia LeBron James.
Messi e Cristiano Ronaldo, due esseri viventi creati per giocare a calcio, che lasciano agli altri fenomeni di questo mondo solamente la lotta per il titolo di terzo giocatore più forte del pianeta; e anche qui, pur sottolineando le diverse epoche, i paragoni con Maradona e Pelè si sprecano.
Michael Phelps, lo Squalo di Baltimora, è entrato nella storia per essere stato capace negli anni di costruire un mito sportivo; ispirandosi al suo soprannome, ha cannibalizzato anni e anni di Olimpiadi, Mondiali e non solo del mondo del nuoto, uno sport in cui basta il minimo errore per perdere la vetta.
Usain Bolt, l’uomo più veloce della terra; basta questo per descriverlo.

I nomi citati, sono solo alcuni esempi di coloro che nello sport hanno o stanno primeggiando, portando la soglia dell’eccellenza ancora più in alto, a livelli ancora più estremi; ma come si fa? Sono loro dei “semi-dèi” sportivi, fortunati e dotati di un talento naturale di livelli spropositati, oppure alla base di ciò che sono vi è anche un lavoro nascosto di cui noi non vediamo nulla?
Sicuramente loro hanno un dono. Pochissimi sono i casi di campioni sportivi affermati che solo col duro lavoro e l’allenamento sono riusciti ad avere una carriera prolifica. Per arrivare a certi livelli di estrema eccellenza nel proprio settore, anche non sportivo, non solo è importante, ma è necessaria una buona dose di talento naturale; è così, c’è poco da fare. C’è anche bisogno di un grandissimo impegno e spirito di sacrificio da parte di questi grandi campioni per arrivare dove sono arrivati, certamente, ma è “tutta qui” (virgolettato ovviamente) la ricetta per diventare un Roger Federer o un LeBron James nella propria vita?
Non credo proprio. Oltre a quanto citato, una delle qualità che un campione con la C maiuscola deve avere è il sapersi fidare e affidare; sono atleti formidabili, irraggiungibili forse, ma sono totali? Sono “autosufficienti”? Fanno o hanno fatto tutto ciò per cui il loro nome echeggerà nell’olimpo dello sport da soli? Sono numeri uno, è indubbio, ma sono uomini, e come tali non sono esseri assoluti, completi.
Per eccellere ti devi fidare del tuo allenatore, che sa quando è meglio fare un lavoro di carico o di scarico; ti devi fidare del tuo fisioterapista, che sa riconoscere su che punto del tuo corpo è meglio lavorare; ti devi fidare del tuo nutrizionista, che anche se tu hai voglia di una torta forse è meglio ascoltare lui e mangiarsi una bistecca in quell’occasione; ti devi fidare delle persone a te care, che sanno riconoscere i tuoi momenti di difficoltà e consigliarti; infine, anche se la lista potrebbe andare avanti, devi essere in grado di saperti fidare dei tuoi compagni di squadra, perché senza di loro probabilmente non saresti quello che sei.
La squadra è il concetto fondamentale alla base di ogni sport: non per forza i tuoi compagni devono scendere in gioco con te, visto che ad esempio Bolt era da solo in pista, ma i tuoi compagni di squadra sono anche quelli che si allenano con te, che sudano con te per provare ad essere alla tua altezza. Jordan giocava con compagni oggettivamente meno completi di lui, e forse questa cosa è ancora più evidente nel caso di LeBron James ai Cleveland Cavaliers, che spesso si trova a “predicare nel deserto”; gli stessi Messi e Cristiano Ronaldo giocano con gente molto forte, ma non al loro livello, eppure tutti questi atleti non sarebbero quello che sono e non avrebbero vinto quello che hanno vinto se non fosse anche per i loro compagni di squadra.
“Io sono il giocatore più forte di tutti”. “Io segno 60 goal a stagione”. “Io ho un rovescio devastante”. Tutto vero, sicuramente, ma saresti il giocatore più forte di tutti se quando eri ancora giovane non avessi trovato compagni forse meno talentuosi, ma con la testa sulle spalle a darti saggi consigli su come non accontentarsi mai? Segneresti 60 goal se non avessi un centrocampo e una difesa pronti a sacrificarsi se sbagli un dribbling? Avresti un rovescio devastante se in allenamento non affrontassi dei compagni che si impegnano per provare a mettere in difficoltà un giocatore oggettivamente più forte?
La squadra è tutto. Che sia con te sul campo da gioco, o esegua un lavoro maggiormente dietro le quinte, ogni fenomeno della storia, sportiva e non, non sarebbe quello che è stato o ancora è senza il suo compagno più scarso, ma pronto al sacrificio per lui; senza il suo allenatore, pronto a studiare l’allenamento migliore per l’indomani invece che magari stare coi propri figli, o senza il tifoso che si prodiga per lui e lo sostiene, ed è pronto ad incitarlo e spronarlo nei momenti di difficoltà.
In merito a ciò, Michael Jordan una volta disse:
“Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati.”
Un pensiero conciso, semplice, ma che racchiude una delle più grandi verità di questo mondo: se vuoi essere un numero uno a 360°, se vuoi essere completo in quello che fai, per quanto tu possa essere bravo, da solo non puoi nulla; e se lo dice un signore che è stato un numero uno per eccellenza e ancora oggi è tra gli sportivi più conosciuti al mondo, non c’è che da fidarsi.

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