Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

MAC

Il Freccia Rossa Venezia-Roma Termini sta viaggiando sul filo dei 300 km/h: e noi, passeggeri, assieme a lui. Scivola veloce mentre attraversa l’Italia delle meraviglie: campi di grano ancora innevati, squarci di primavera in agguato per uscire. La statale veloce, le colline mute, i cipressi che annunciano i casali della Toscana. Stormi d’uccelli neri in lontananza. Lo scorrere sui binari sembra un rapido destreggiarsi tra musei d’arte: le spigolatrici di Milet, le stiratrici di Degas, le ninfee di Monet: i girasoli di Van Gogh. L’Italia.
Una donna, sedendosi accanto, mi desta dal mio rapimento: “Prego, signora” – e sposto la valigia che, puntualmente, metto sempre nel posto del passeggero, a mò di “occupato”. Per starmene tranquillo, per non essere importunato, per evitare discorsi inutili e qualunquisti: per me viaggiare è riflettere, confidarmi con pensieri da me accantonati, cullare il mio sguardo nell’immensità che si trascina veloce. Lei, donna vicina agli ottant’anni, si sistema con signorilità, accatasta le sue mercanzie negli appositi spazi, abbassa il tavolino e si mette al lavoro. Estrae dalla sua valigetta un MAC della Apple e, con una familiarità che m’imbarazza, inizia a rispondere alle email. Contemporaneamente, un leggero bip le segnala un messaggio sul telefonino: estrae il suo Iphone 5 e, con altrettanta facilità, risponde al volo su whatsapp. Chiedo aiuto al vetro del finestrino e, tramite esso, la fisso nel mentre del suo daffare: scrive velocemente sulla tastiera con due mani, non usa il mouse portatile ma, con il dito, pilota il suo Mac che è una meraviglia. Sbalordito da quest’anziana all’opera, vicina di posto, non mi resta che contemplare la scena e cucirmi addosso mille domande e altrettanti stupori. Quando scende – signori si nasce – incrocia il mio sguardo e s’accomiata con un “Faccia buon viaggio, signore”. Dietro quegli occhiali di Prada e quel profumo dolcissimo che, a star distratti, stordirebbe l’olfatto, stanno due occhi vispi e veloci. Una volta scesa, getto lo sguardo dall’altra parte del corridoio: è uno sguardo d’uomo giovane quello che incrocio. Ci rimbalziamo il medesimo stupore: non m’ero accorto che quella signora era al centro dell’attenzione stupita di tre file di passeggeri.
Di nascosto le ho scattato una foto. Il tempo che la connessione internet riparta dopo le gallerie, la mando a mia cugina. Ci allego una frase: “C’è un’Italia che sorprende”. La mando via whatsapp, proprio come faceva la signora. Tempo cinque minuti e mia cugina mi manda la sua risposta. Lei non è in treno, è seduta a tavola nella sua casetta ai bordi del ruscello, immersa nel silenzio di una valle, circondata dal gorgoglio del fiume. La sua risposta è una foto: ritrae la nonna mentre, seduta a tavola, è l’ospite di quella cena. E mi allega la sua descrizione: «Quest’altra signora, invece, di anni ne ha quasi settanta. Regge un cellulare come cullasse un cucciolo d’uomo: non ha la minima idea di cosa succeda sfiorandone la superficie. Questa signora non ha idea di come s’accenda un computer; a dire il vero, non ha nemmeno idea di cosa sia un computer. Diffida da quelle esili volumetrie che raccontano contenere l’intero universo. Questa signora, con la modestia di chi offre a cena una zuppa di patate e di riso, siede nel suo posto da commensale e, dopo aver preso fiato, confessa l’inconfessabile: “Papà mi ha mostrato la foto della caraffa (un brevetto di mia cugina, ndr). Sei un orgoglio”. Esiste un labile confine tra semplicità e banalità: il banale sconforta, il semplice sconvolge. C’è un’Italia che stasera sorprende, Marco: per me ha gli occhi di sempre» (Ilaria).
Sono appena tornato da scuola. Siamo andati a scuola, io e mia cugina. Io a trecento km/h, lei seduta a tavola. Diverse le velocità, medesimo lo stupore: certe sere essere giovani è farsi da parte. E imparare il linguaggio dell’incanto.

(da L’Altopiano, 31 gennaio 2015)

Bruna

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