Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Papa Francesco don Marco Pozza credit VaticanMedia 5
Il volto della nonna è stato il primo libro di teologia che ho letto: il sorriso di mia madre è stato il primo sguardo di Dio sul mio volto. La fede dei miei nonni è sempre stata fonte d’imbarazzo: facevano tutto con Dio. Piantavano le patate, raccoglievano pomodori, falciavano l’erba dicendo le orazioni: la preghiera era il metronomo delle loro giornate. Mamma, invece, ha vissuto l’epoca del grande rifiuto: Dio era il rivale dal quale difendersi, una sorta di antagonista alla libertà. L’epoca dei miei nonni, interrogata, professava: Io credo. Quella di mia mamma: Io non credo. Assieme a mio fratello abito una stagione che si pensa sopraffine in materia di intelligenza e maturità: non è più tanto una questione di credere o non-credere, ma di opportunità o meno. Perchè io dovrei credere? Credo, non credo, perchè credere, dunque? Avverto l’urto di un dubbio: si nega l’esistenza di Dio oppure non si custodisce più nel cuore questo interrogativo? Sovente mi interrogo se la mia epoca abbia abbandonato Dio con la testa o con il cuore: cioè siamo gente atea, indifferente o disaffezionata? Avuta la notizia della morte di Dio dai microfoni dei filosofi, qualcuno ha iniziato a contemplarsi l’ombelico: non esiste più nulla di santo attorno a noi. Sopra di noi.
Circa il cristianesimo provo uno stupore bambino pensando che l’eternità è diventata familiare alla mia storia: sono parte di una storia gigante, la mia storia piccola vi si incastra dentro alla perfezione, mi fa sentire a casa nella storia. La mia fede è ereditaria: credo perchè nato tra gente credente. Un’eredità, però, non è sufficiente riceverla per dire di possederla: è necessario rimetterla in gioco, fino a rischiarla, per farla propria. Per questo, nei giorni di festa, a testa alta dico a tutti cosa penso della mia storia: «Credo in un solo Dio». Arroganza? Tutt’altro, è la professione di fede più umile che esista: credo fermamente che il finale della mia storia non dipenderà solamente da me, ma sarà scritto a quattro mani. Oppure non sarà. Su tutto il resto – lacrime, esultanza, confusioni – sono fratello di chi non crede affatto, di chi ha creduto, di chi si chiede che cosa serva credere. L’unica differenza è una differenza di posizione: io credo d’essere nelle mani di Dio. Ne gioisco fino a rabbrividire, mentre tutti mi invitano a diventare il padrone della mia esistenza. Io credo (TV2000, lunedì, 21.05) è un tentativo di risposta al mio dubbio: “E di chi non crede, che sarà?” Non m’incuriosiscono più i credenti: purtroppo so già come la pensano. Mi affascinano i non-credenti: Dio parla dentro ad una storia e l’uomo rimane totalmente libero di dare ascolto o di rifiutare l’invito divino. Il non-credente mi aiuta a credere, solo l’indifferenza mi risulta atea. Credo in un Dio carico di silenzio che, (s)velandosi, interpella.
Di chi crede si dice “credente”, non “creduto”: l’avventura è da rinnovarsi di giorno in giorno. Come compagni in questo mio viaggio di (ri)scoperta ho scelto uomini e donne così strani da apparire dissacranti agli occhi di qualche anima pia: Salvatore Natoli, Martina Colombari, Paolo Bonolis, Paolo Rumiz, Carolina Kostner, Giovanni Bachelet, Massimo Bottura, Fausto Bertinotti. Dissacranti ma profondi: mai banali, capaci di sorpresa, micidiali. Ho chiesto loro il permesso di ingresso nelle loro anime, accettando d’intravedere, a volte, solamente una luce sul fondo: è materia sufficiente per intuire che si può, forse, ma non adesso. Ci siamo incontrati negli incroci più affollati del pensiero credente, sulla soglia di misteri così assurdi da ritenersi assoluti: Dio, Gesù, lo Spirito Santo, la Chiesa, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Mi interessava fiutare la rilevanza o l’irrilevanza, nelle loro vite, di ciò che io porto nel cuore da quando sono venuto al mondo. Papa Francesco ha fatto da ricamatrice, cucendo assieme esistenze tra loro solo in apparenza antitetiche, confermando la fede di chi già crede senza mortificare la fatica di chi, per vie diverse, cerca ragioni di speranza nella sua esistenza. Tutti assieme ci siamo seduti vicino alla soglia, sullo sgabello, a tendere l’orecchio al silenzio. Liberi dall’ossessione del fare catechismo.

(da Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia, Corriere delle Alpi, 16 febbraio 2020)

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Io credo è il nuovo programma di TV2000, in onda dal 17 febbraio 2020 (ore 21.05) per otto lunedì, firmato da Marco Pozza e Andrea Salvadore. E’ la terza parte di una trilogia comprendente Padre Nostro (2017) e Ave Maria (2018). L’intento e rivisitare le preghiere più antiche della tradizione cristiana per risvegliarne la freschezza attraverso un intrecciarsi di conversazioni e di storie.
La conversazione di don Marco con Papa Francesco è il filo conduttore attorno al quale ruotano quelle con Salvatore Natoli, Martina Colombari, Paolo Bonolis, Paolo Rumiz, Carolina Kostner, Giovanni Bachelet, Massimo Bottura e Fausto Bertinotti. Assieme ad otto storie di comunità: la cooperativa Radicà di don Beppe Gobbo, la parrocchia di Calvene dove vive il fratello di don Marco, il CUAMM di Padova, le Suore Benedettine di Norcia, il Centro Padre Nostro di Brancaccio, la cooperativa Pietre di scarto di Cerignola, il Santa Lucia Basket di Roma e l’Alzheimer Cafè di Terni. Dal programma nasce il libro Io credo, noi crediamo (LEV-Rizzoli) che uscirà in Italia il 3 marzo prossimo.

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