campagna-unhate-benetton_290x435Gli autori – da anni ai vertici delle campagne pubblicitarie per un uso shock dell’immagine – lo giustificheranno dicendo che dietro c’è un intento benefico coperto dal nome di una Fondazione. In fronte all’ultima campagna pubblicitaria di United Colors of Benetton risuonano due convinzioni: quella di Teresa di Calcutta secondo la quale non basta fare il bene ma occorre farlo bene. E quella di Benedetto XVI la cui amabilità e destrezza d’animo non si lasceranno scalfire dall’uso distorto che di lui ne fa la pubblicità: un cristianesimo che crede suo dovere di restare sempre all’altezza del tempo non ha niente da dire e significare. Come a dire: la pubblicità faccia pure ciò che crede meglio ma il cristianesimo non baratterà la sua fascinazione con la confusione del commercio.
La foto di Joseph Ratzinger che bacia Ahmed el Tayyeb – imam di Al Ahzar, la moschea del Cairo, la più alta istituzione dell’islam sunnita – vorrebbe essere una delle immagini (altri baci tra coppie discutibili stanno comparendo su social network e riviste patinate) per una campagna “politically uncorret” a favore della tolleranza che sia di sprone a non aver paura dell’altro. Consapevoli che l’azienda in questione – forse per mascherare una non-convinzione circa il loro prodotto – ha sempre avuto bisogno di creare e abusare di immagini shock per catturare l’attenzione, rimane la perplessità della validità o meno dell’uso di certe immagini ai danni dell’immaginario collettivo, laddove la gente non è padrona del suo inconscio ma è vittima di una violenza subliminale che confonde le idee relativizzando il tutto. Nella storia della Chiesa s’è spesso criticato – molte volte a ragione altrettante volte per superficialità – l’uso distorto che s’è fatto della religione per creare proseliti e conquistare le anime. Ora proprio da quella fetta di mondo che guarda alla religione con un certo cinismo arriva la proposta di usarla a suo piacimento per proporre sul mercato un prodotto che di religioso non tiene nulla, se non la forza distorta dei simboli.
Stavolta non è questione di difendere la religione cristiana da quella islamica ma di difendere l’immagine stessa di religione da un abuso immaginativo che arreca solamente confusione e disordine. Immaginiamo lo shock di un bambino di fronte a tale gigantografia: chissà quale sarà l’idea che nascerà dentro la sua mente nel vedere questi strani accoppiamenti. Non solo ne andrà dell’autorevolezza della quale questi personaggi godevano nella sua mente, ma nascerà dentro di lui un disordine che lo condurrà ad una confusione in materia di fede, di storia e di rapporti internazionali. La prima cosa che penserà non sarà tanto alla Fondazione e al buon intento che ci sta dietro (ammesso sempre che ci sia, ndr), ma al chiedersi se valga ancora la pena o meno di ritenere affidabili tali persone. Non ci è dato sapere oggi se sono più pericolosi i film di guerra che raccontano di carneficine, di massacri e di sangue o quelle piccole storie sentimentali che graffiano e feriscono la zona inconscia dell’affettività. Come non ci sarà dato sapere in quest’epoca se all’immaginazione dei bambini e dei semplici avranno arrecato più danno la storia delle crociate coi loro vessilli o questa turpe banalizzazione dei più alti simboli di due grandi religioni.
L’intento di fondo del Ratzinger teologo è sempre stato quello di liberare dalle incrostazioni il vero nocciolo della fede, restituendole energia e dinamismo. Questa pubblicità potrebbe essere la risposta di una certa cultura che non accetta d’essere interrogata dalla fede e decide di emanciparsi confondendo il sacro con il profano; ma non sempre lo shock è fratello gemello dell’intelligenza.

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