Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

PioLeopoldo

Quello di mettere uno-contro-l’altro è un vizietto ch’è tipico del mio casato d’appartenenza: il ceppo cristiano. Mica una stortura degli ultimi anni, però, da poterla bollare come una devianza causata dalle nefandezze del Novecento. E’ quasi un tratto tipico, caratterizzante l’identità. Già Paolo s’imbufaliva a sentire certi discorsi parrocchiali: «Mi è stato segnalato che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo, io di Apollo, io di Cefa, io di Cristo”. E’ forse diviso Cristo?» (cfr 1Cor 1,11-13). Erano i primi mesi della chiesa-primitiva, proprio quella alla quale tantissimi vorrebbero tornare per evitare le intemperanze di quella odierna: sanno, costoro, com’era veramente la chiesa degli inizi? Tutt’altro che santa: un rendez-vouz di tribali rivalità.
D’allora, tutto come allora, esattamente come oggi: Pio contro Leopoldo. In troppi a metterli contro, misurando loro la quantità di seguaci: sembra che per qualcuno la santità sia una mera questione di auditel, di follower, di seguaci. Una mala creanza riservata a due uomini che in vita fecero di tutto – pagarono l’inverosimile – per insegnare l’arte del rammendo piuttosto della disfatta, il segreto del medicare a quello del gettare, l’olio della consolazione invece che l’aceto della tortura. Uomini che, sbrindellati per rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa, nell’angustia di un confessionale trovarono quel punto d’appoggio che Archimede cercava a tutti i costi per riuscire a tenere sollevato il mondo. Il loro punto d’appoggio fu la misericordia: per questo, a Roma, Francesco li ha voluti vicini, fianco a fianco, quasi a farsi compagnia. Perchè, guardando loro, chi s’accosta possa percepire che la misericordia non è un concetto bensì una faccenda feriale, non una favola ma una storia, non è rimasta teoria ma è diventata pratica. E’ stata messa in pratica: da Pio, da Leopoldo, da tanti altri.
I santi lo sanno bene qual’è il sovrapprezzo da pagare: in vita è quello d’essere ripudiati dalla gerarchia per farli credere matti a tutti i costi. Da morti, d’essere imbalsamati e venir ingabbiati dietro un vetro per farli credere delle statuine: una sorta di mercanzia griffata, trippa per tifoserie opposte. Si racconta che quando tentavano a tutti i costi di canonizzare Dorothy Day, attivista sociale statunitense convertitasi al cristianesimo, lei s’irritava: «Non chiamatemi santa! Non voglio essere accantonata così facilmente». E’ lo scotto della santità: voler fare di un santo un superuomo in modo da pensare che per diventare santi occorra nascere con doti speciali. Quand’invece la santità è alla portata di tutti, bussa sommessamente alla porta di ciascuno: nessuno obbliga a seguire Cristo. Pio da Pietrelcina e Leopoldo da Castelnuovo: due uomini che han preso la strada e ne hanno fatto il loro salotto. Per questo, forse, papa Francesco ha rivoluto rimetterli nella strada. Per ridare loro ciò che secoli di devozione/deviazione han tolto: l’aria, il respiro d’essere proprietà privata di Dio. Misericordiosi, all’aria aperta: la vera santità cristiana, quella riformatrice, non è mai stata l’elogio della claustrofobia, tanto meno dell’associazionismo cattolico.
M’accorgo di pensarli tantissimo in questi giorni, mentre stanno a Roma. M’affascina Leopoldo: che coraggio ha avuto ad accettare la sfida contro Pio, il tifo della vecchia zia contro la bolgia dell’Old Trafford. M’incanta Pio: che fegato tornare nella Roma che lo contestò all’osso. A quale dei due il titolo di “impresa dell’anno”, mi chiedo? Poi m’accorgo, mentre me lo chiedo d’essere caduto anch’io nella trappola-dei-miei: uno contro l’altro. E capisco bene come mai loro sono santi e io no: io guardo la folla che li segue, loro guardano Dio che li precede. Incontratolo, certi discorsi sono per loro nient’altro che quisquilie. Discorsi-da-osteria verso i quali continuare ad essere misericordiosi.

(da Il Mattino di Padova, 7 febbraio 2016)

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