Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

batticuore

La vera sorpresa, in realtà, è vedere accadere ciò che si sperava: l’amore che bussa alla porta. Un agguato di sorpresa, appunto: l’amore deve cogliere la realtà di sorpresa, altrimenti che amore è? Qualora, un giorno, provocasse del dolore, quella sofferenza altro non sarà «che la sorpresa di non conoscerci» (A. Merini). C’è una sfida in atto nel Vangelo di oggi, si parla di un amore che ti ha rubato il cuore: «Ecco lo sposo, andategli incontro!». Dio, stavolta, è un amante che gioca assai con le lancette dell’orologio: la sua sfida è quella d’insegnare a contare in modo nuovo. “D’ora innanzi – sembra dirci – il tempo non si misurerà più in minuti, ma in battiti, amici!” Quelle lampade assomigliano alle matrioske: dentro trattengono una storia. Dentro quella storia c’è un amore, in quell’amore è nascosto un tempo, dentro quel tempo c’è una luce: accenderla o spegnerla è l’affare serio di chi ha le chiavi di quella storia. L’attimo di verifica sarà sempre il ritardo: «Poichè lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono».
Chissà perchè quell’amore è in ritardo: forse per il traffico, per gli scherzi fatti trovare lungo la strada, per un filo d’agitazione da quietare. Oppure è uno di quei ritardi d’artista: “Se è in grado d’aspettarti – mi disse un giorno un uomo – allora ti ama per davvero”. L’amore, quand’è sfidato, si moltiplica, accelera: non c’è nulla nell’uomo come una sfida che faccia uscire ciò che c’è di meglio dentro lui. Le sfide poi – certi ritardi sono delle sfide anonime – ti aiutano a scoprire chi sei davvero: un amore, un amico oppure un compagno. “Ti amo” non è “ti voglio bene”, e quest’ultimo è l’opposto del “ti faccio un po’ di compagnia”. Il Cristo è un ritardatario di quelli intelligenti: nella mia vita Gli è sempre piaciuto iniziare a prepararsi con largo anticipo in modo da aver poi il tempo per arrivare in ritardo (sulle mie tabelle di marcia). In realtà, invece, la sua è l’ora esatta: prima, forse, sarebbe stata amicizia, sarebbe bastato un attimo in più per farlo diventare una compagnia. E’ giunto puntualissimo nel suo ritardo: è amore. Saper giocare con il tempo è roba da avventurieri: un attimo prima o uno dopo tutto può cambiare, il destino stesso può mutare faccia. Saper cogliere l’attimo giusto per mettere dentro il cuore nel cuore è cogliere l’attimo della felicità. Per chi ama, c’è sempre una luce in fondo: basterà intravederne uno spicchio per continuare a vegliare.
Una luce, ma anche una voce: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!”» Per un innamorato, più inconfondibili delle impronte digitali ci sono le sfumature della voce. Quant’è bello, talvolta, interrompere una chiamata per dire: “Ma che voce bellissima che hai!” Una voce è quanto basta per tranquillizzare. È quanto basta per (ri)svegliare: basta il tuo nome, o un nomignolo, proferito da quella voce e ti verrebbe da indossarla più che d’ascoltarla. Per ascoltarla basta poco: un po’ di bene, da mescolarsi con l’affetto. Per indossarla, invece, occorre avere l’olio del batticuore: farsi trovare pronti, disposti all’assalto, al risveglio, a buttarsi nella mischia. Perchè credere all’amore quando tutto è evidente, quanto tutti ti dicono ch’è palese, quando il vento ti accarezza la pelle con i petali di rosa è roba così semplice che sono capaci tutti. Crederci quando ti appare in ritardo, quando le lancette non passano mai, quando il tuo cuore dice che l’altro ha già imboccato altre strade, è materia soprannaturale: la voce, quando bisbiglierà ch’è giunta, troverà un batticuore pronto sul quale poggiare le sue sillabe. Dal quale alzarsi.
Mi piace questo Dio-in-ritardo, questi amori che esplodono di luce quando tutti li davano già per morti, questi cuori capaci di perdersi per volersi ritrovare: «Vegliate, dunque, perchè non sapete né il giorno né l’ora». Punto. Il batticuore, poi, non si vende: «No, perchè non venga a mancare a noi»(cfr Mt 25,1-13). Esatto: quell’olio è un prodotto artigianale, fatto in casa, realizzato a mano. Olio su misura: se non ce l’hai, nessuno potrà dartelo. Non è per ripicca: è che si parla di un amore che ti ha stregato il cuore. Un amore di fuoco che trasforma il ritardo in desiderio.

(da Il Sussidiario, 7 novembre 2020)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Matteo 25,1-13)

copertina

Dal 9 ottobre, in tutte le librerie, Ciò che vuoto non è (San Paolo, 2020), il nuovo libro di Marco Pozza
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!” hanno pensato in tanti». E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?” In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. E’ davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi?
In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo cristiano alla luce del vuoto dei mesi di pandemia: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è pur sempre un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua. E’ d’allora che quella cristiana è fede fondata sul vuoto, fede che ha diritto di vuoto.
Tra memorie paesane e sprazzi di attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perchè credere quando attorno è buio”? Nell’emergenza il Vangelo resta uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è (dall’aletta di copertina).
(Per acquistarlo online clicca qui)

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