Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

confessione

L’ultima cannonata, di una certa potenza, l’ha sganciata dall’aereo che lo riportava a Roma dopo il viaggio in Grecia e Cipro. Ha aspettato che lo stuolo di giornalisti si alzasse con lui oltre le nuvole e, da lassù, ha cercato di mostrare al mondo come si possa leggere la storia, coi suoi misteri e intrighi, con l’occhio di Dio: non quello diabolico che viviseziona il mondo squadrandolo dal basso, ma quello simbolico che, scrutandolo dall’alto, tende all’unità, in modo che nessuno vada perduto. Francesco, il Papa, è troppo gatto per metterlo nel sacco così: la domanda sul vescovo di Parigi era assai scontata, fortemente ovvia, per nulla inaspettata. “Che ci dice, Santità, sulle effusioni amorose del vescovo parigino?”: una l’ha pronunciata, tutti hanno ringraziato. Lui ha scaricato il colpo che aveva già collocato nella canna, cacciatore esperto qual è: «(Dico) che i peccati della carne non sono i più gravi» risponde con quell’apparente ingenuità che fa di lui un Battista pragmatico, umanamente clemente, di spirito saggio, ecclesialmente insopportabile. Apriti cielo! E’ bastato toccare il sesto comandamento – che nei confessionali è uno dei trend topic – per (ri)aprire l’ennesima battaglia contro il Papa. Orchestrata dal medesimo stuolo di fedeli che ogni qualvolta si lamenta di qualcosa che non quadra nella Chiesa attuale, invoca a squarciagola il ritorno alla Chiesa primitiva, quella degli apostoli. Peccato che proprio quella Chiesa lì, quella di cui sentono nostalgia, fosse la Chiesa di Pietro, «una chiesa normale, nella quale si era abituati a sentirci tutti umili peccatori». Uomini, non caporali.
Pietro, come Francesco, come il vescovo parigino, come il sottoscritto: tutti di materia fragile, stecchini non ponti di calcestruzzo, carni ferite non umanità di stampo asessuato, amorfo, insensibile ai piaceri, alle passioni umane. E’ chiaro che un’affermazione del genere, dentro certi confessionali, ha avuto il potere di una deflagrazione atomica: “Se non possiamo più chiedere del sesso, di cosa chiederemo a chi verrà a inginocchiarsi!” avrà sbattuto il telecomando qualcuno di quelli che, nei confessionali, potrebbero benissimo venire scritturati per gettar giù la trama di un film hard. Perchè un’affermazione del genere, pronunciata dal Papa, tende a mandar gambe all’aria quella morale (fastidiosa) fatta, in materia di sessualità&affini, di inezie, specificazioni, precetti, investigazioni. Condita da quel tocco di prurigine che pare stuzzicante alle orecchie di certi confessori. E’ un’affermazione che, piaccia o non piaccia, accelera ciò che da decenni aleggia nel sottofondo del cristianesimo: “Una mancanza contro il sesto comandamento pesa davvero di più, agli occhi di Dio, della prepotenza tra umani, dei litigi, delle ruberie, di certe guerriglie che si aizzano dentro le parrocchie, nei monasteri, nelle diocesi, in Vaticano?” Francesco, in volo, alza il velo ad una certa chiesa propensa a dibattere sui confini anatomici, sulle traiettorie di una carezza, sulla percentuale di saliva di un bacio dato, di uno ricevuto. Riflessioni che appaiono mostruose per quella fetta di chiesa che, fattasi sessuofobica, di fatto, agli occhi del mondo, ha ridotto il cristianesimo al solo sesto-comandamento: “L’hai fatto? Con chi? Quante volte? E come l’hai fatto? In quanti?” Cristoddio (,) è tutto qui?
Il vescovo in causa, salutando in questi giorni la sua comunità, ha rialzato la posta in gioco: «Una giornalista ha scritto: “L’arcivescovo di Parigi si è perso per amore”, ma ha dimenticato la fine della frase – commenta mons. Aupetit -. La frase completa è: ‘L’arcivescovo di Parigi si è perduto per amore di Cristo” (…) Perchè dobbiamo correre il rischio di amare, come Gesù». Chissà quanti, con la stola addosso, saranno disposti a riaggiornare le care-vecchie richieste sul sesso con domande più angeliche, dunque più nocive al Sacro Cuore di Gesù. Forse, anche stavolta, il Papa ha alzato troppo il ritmo: è dei fuoriclasse, però, valutare la prestazione non in corso d’opera ma al traguardo. Quello finale che, nella Chiesa, non è mai ad un tiro di schioppo. Ma nemmeno troppo in là.

(da Il Sussidiario12 dicembre 2021)

 


La domanda rivolta al Papa da Cécile Chambraud di Le Monde. E la risposta del Papa.
(da www.vatican.va)

«Santo Padre, faccio la domanda in spagnolo per i colleghi. Giovedì, quando siamo arrivati a Nicosia, abbiamo saputo che Lei aveva accolto la rinuncia dell’arcivescovo di Parigi, mons. Aupetit. Ci spiega perché, e perché con tanta fretta? La seconda domanda: attraverso il lavoro di una commissione indipendente sugli abusi sessuali, la Conferenza episcopale di Francia ha riconosciuto che la Chiesa ha una responsabilità istituzionale riguardo alle sofferenze di migliaia di vittime. Si parla anche di una dimensione sistemica di questa violenza. Che cosa pensa Lei di questa dichiarazione dei vescovi francesi? Che significato può avere per la Chiesa universale? E, ultima domanda: Lei riceverà i membri di questa commissione indipendente?»

«E la prima domanda, sul caso Aupetit. Io mi domando: ma cosa ha fatto, Aupetit, di così grave da dover dare le dimissioni? Cosa ha fatto? Qualcuno mi risponda (…) Se non conosciamo l’accusa, non possiamo condannare. Qual è stata l’accusa? Chi lo sa? [nessuno risponde] E’ brutto! Prima di rispondere io dirò: fate l’indagine. Fate l’indagine. Perché c’è pericolo di dire: “E’ stato condannato”. Ma chi lo ha condannato? “L’opinione pubblica, il chiacchiericcio…”. Ma cosa ha fatto? “Non sappiamo. Qualcosa…”. Se voi sapete perché, ditelo. Al contrario, non posso rispondere. E voi non saprete perché, perché è stata una mancanza di lui, una mancanza contro il sesto comandamento, ma non totale ma di piccole carezze e massaggi che lui faceva: così sta l’accusa. Questo è peccato, ma non è dei peccati più gravi, perché i peccati della carne non sono i più gravi. I peccati più gravi sono quelli che hanno più “angelicità: la superbia, l’odio… questi sono più gravi. Così, Aupetit è peccatore come lo sono io. Non so se Lei si sente così, ma forse… come è stato Pietro, il vescovo sul quale Cristo ha fondato la Chiesa. Come mai la comunità di quel tempo aveva accettato un vescovo peccatore? E quello era con peccati con tanta “angelicità”, come era rinnegare Cristo, no? Ma era una Chiesa normale, era abituata a sentirsi peccatrice sempre, tutti: era una Chiesa umile. Si vede che la nostra Chiesa non è abituata ad avere un vescovo peccatore, e facciamo finta di dire “è un santo, il mio vescovo”. No, questo è Cappuccetto Rosso. Tutti siamo peccatori. Ma quando il chiacchiericcio cresce e cresce e cresce e ti toglie la buona fama di una persona, quell’uomo non potrà governare, perché ha perso la fama, non per il suo peccato – che è peccato, come quello di Pietro, come il mio, come il tuo: è peccato! –, ma per il chiacchiericcio delle persone responsabili di raccontare le cose. Un uomo al quale hanno tolto la fama così, pubblicamente, non può governare. E questa è un’ingiustizia. Per questo, io ho accettato le dimissioni di Aupetit non sull’altare della verità, ma sull’altare dell’ipocrisia. Questo voglio dire. Grazie».

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