Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

brioche

La soluzione era dietro l’angolo, ma ai discepoli pareva d’esser dentro una rotatoria: «Duecento denari di pane non son sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo», risposero al Cristo gli amici più fidati quando, un dì, domandò come potesse fare per riuscir a sfamare quella ciurma di gente ch’era assembrata attorno a loro. Lo chiese, forse, mentre il sole tramontava e i negozi stavano calando le serrande. Lo chiese a Filippo non perché non sapesse come ingegnarsi l’ennesimo miracolo, bensì «per metterlo alla prova». Cosa alquanto buffa: Cristo, per ammaestrare i suoi discepoli, ama fare domande tautologiche: hanno già in sé la risposta – “Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?” – ma, sovente, la si va a cercare chissà dove. Si è così lenti a trovare la soluzione che, quando arriva, sono già cambiati i problemi. Cristoddio, badate bene, i suoi miracoli li fa sbocciare sempre sul tronco di una mancanza, d’una morte, di uno stato di emergenza. “Freghiamocene!” avrebbero potuto rispondere gli amici. E, di fatto, l’hanno fatto. Marco, evangelista poco politicamente corretto, annotò la loro prima reazione: «Congedali, in modo che possano comprarsi di mangiare» (Mc 6,36). “Volevo solo avvisare le persone che si buttan i problemi alle spalle – sembra aver rinfacciato loro Cristo – che dietro ci sono gli altri. Ci sono io”. Loro scelsero la reazione, Lui sognava l’azione: spesso è peggiore la soluzione del problema. D’altra parte, qual’è il problema se mancasse il pane sulla tavola dei poveri: «Se non hanno pane, che mangino brioches» (Maria Antonietta d’Asburgo, regina consorte di Francia).
Le brioches, però, non son pane. Cristo, dunque, si siede e, pazientemente insegna loro come gestire un’emergenza: la prima regola è valutare le risorse. Che, pure minuscole, ci sono: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci». Poco, insomma, è meglio di niente, ma i discepoli non afferrano la poesia del poco: «Cos’è questo per tanta gente?» La tentazione – e meno male Gli sono amici nell’intimo -, è quella di pensare che anche Lui si deprima come loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Gv 6,35) dirà loro qualche riga più avanti nel Vangelo. A degli affamati, dunque, come potrà apparire loro Cristo se non con il nome della loro mancanza più impellente, quella che pressa il cuore, indebolisce il fisico? Se manca il pane, dunque, Cristo si farà Pane. Manca l’acqua? E Cristo si farà acqua viva. Manca vita? Cristo sfiderà la morte per riaccenderla. Il Dio cristiano, è un fornaio che sforna pane in continuazione: «Fateli sedere (…) Prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti» (cfr Gv 6,1-15). Fosse stato poeta, avrebbe fatto il pane impastandolo di cura e di premura: «S’io facessi il fornaio vorrei cuocere un pane cosi grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare. Un pane pia grande del sole, dorato, profumato come le viole. Un pane cosi verrebbero a mangiarlo dall’India e dal Chilì i poveri, i bambini, i vecchietti, gli uccellini. Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia!» (G. Rodari).
Lo Spirito aleggia sui casini perché ne possiamo tirare fuori il bello: prediche infarcite di banalità sull’amore e la gentilezza non convincono nessuno. Resta la scelta che appare all’annunciarsi di ogni problema: programmarsi il funerale o il rischio d’immaginarsi un futuro, un’uscita dall’emergenza. I problemi, per Cristo, non sono mai solamente dei problemi: prima di tutto sono delle opportunità che viaggiano vestite in borghese, con abiti da lavoro, con esigenze elementari. Dal pane minuscolo al Pane maiuscolo: fu così che Cristo iniziò a presentarsi come la risposta che più sazia la fame dell’uomo. “Ti manca il pane? Mi farò Pane per te. Ti manca l’acqua? Mi farò Acqua per te. Manca vita? Sfiderò io la morte per te”. Cristo è fatto così: non può sopportar il pensiero che qualcuno muoia senza avere prima tentato di farsi Lui quella mancanza che tanto patimento arreca.

(da Il Sussidiario, 25 luglio 2021)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo (Giovanni 6,1-15).

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