Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

giovaniAd un proverbio polacco – “Chi sta con i giovani rimane giovane” – s’aggrappò il vecchio condottiero di Dio nella celebre notte di Tor Vergata dell’anno 2000 per rispondere alla tifoseria dei fedeli giovani che invocava a squarciagola il suo nome di Papa e di papà. Non era un semplice proverbio estratto dal cilindro della fantasia, ma la convinzione netta che coi giovani è possibile un dialogo laddove c’è un’onestà intellettuale come base di partenza. Sul limitare della maturità 2010 quattro leader fanno capolino per accendere la discussione sulla giovinezza: Benito Mussolini, Palmiro Togliatti, Aldo Moro e Giovanni Paolo II. Se il Duce carica la folla giovane a suo favore, se Togliatti s’impegna a far conoscere ai giovani il perchè delle lotte politiche e sociali, se Moro trova il coraggio di parlare di partecipazione attiva per immettere linfa nuova ed entusiasmo nella vita dello Stato, è Giovanni Paolo II ad arrischiarsi uno degli aspetti più delicati da affidare alle mani dei giovani: il diritto alla contestazione. Letta nella sua visione dell’uomo e della storia, la contestazione non è il bruto distruggere o l’ignobile smantellamento di una tradizione e di una cultura sorta quando i giovani non c’erano. Ma la possibilità di mettere alla prova e di vagliare nella propria vita la validità dei concetti fino a rendere loro quella vitalità che molte volte si sposa bene con il concetto di credibilità.
L’invito a sottoporre il mondo alla contestazione dei giovani è un rischio che solo i grandi leader possono arrischiarsi di proclamare: perchè significa far entrare una prospettiva nuova e vivace all’interno di un sistema consolidato e adulto e chiedere a lei di ergersi come giudice di validità o meno dei concetti promulgati. Mettendo pure in conto la possibilità di vedersi spodestare da chi poi tenterà in tutti i modi di spodestare forme invecchiate e incapaci di parlare con forme più giovani e adeguate al contesto storico. L’invito della Centesimus Annus per quanto riguarda la partecipazione dei giovani è tuttora accattivante: s’attende qualche realtà che trovi il coraggio di farlo diventare la sua enciclica programmatica. Perchè verso il porto della giovinezza è in atto una forma di embargo generalizzato. E il motivo potrebbe non essere estraneo da decifrare: il giovane ha il mondo davanti a se’, la sterminata possibilità di scegliere, l’inedita occasione di giocarsi la vita da zero. Cose, queste, non più possibili al mondo adulto che – per il semplice fatto d’essere nato prima – s’ammanta di una fastidiosa gelosia che ne annebbia la possibilità di collaborazione. Mamme con i pantaloni a vita bassa, sessantenni fac-simile dei ventenni, linguaggi e gesti della liturgia giovane falsificati da età che mal s’intonano fanno supporre che l’invito alla partecipazione e alla contestazione giovane sia ancor oggi colpito da “embargo adulto”. D’altronde è un concetto di elementare apprendimento che se i giovani entrassero attivamente – nello Stato, nella Chiesa, nella società – un intero mondo si sentirebbe spaesato e incapace di tenere sotto controllo una situazione oculatamente gestita con una grammatica da loro ideata.
Proprio per questo tutti dicono che il futuro è dei giovani: un’espressione decisamente palliativa nell’intento di tenere calme le onde di un mare che già Togliatti sessant’anni fa interpretava come triste sorte. Ma ai giovani che importa del futuro se viene offuscata loro la possibilità di contestare da protagonisti il presente? A null’altro vale che a tenere separati due mondi tra loro ostinatamente in competizione.

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