È notizia di pochi giorni fa l’assalto al museo del Bardo di Tunisi, da parte di alcuni integralisti islamici. Un dramma che ha colpito un Paese come la Tunisia, tra i paesi islamici più moderati e aperti al mondo ed alla cultura occidentale in tutte le sue forme d’arte, ma anche l’Europa, dal momento che tra le vittime ci sono stati diversi turisti, tra cui anche degli italiani.
In realtà, come sempre accade in queste circostanze, e per diversi motivi, in particolare in quest’occasione, è inevitabile pensare che siamo stati colpiti tutti.
Nessuno stupore tuttavia che terroristi islamici prendano di mira un museo, se dal Corano arriva una pessima considerazione per l’arte ed in particolare per la più impalpabile e sublime tra esse: la musica, che senza aver nemmeno bisogno di parole riesce ad essere veicolo di emozioni, sentimenti e persino pace tra i popoli!
«Sulla base della Sura Luqman, 31, 6 del Corano, al-Albani sostiene che la musica deve essere considerata una forma di “chiacchiera”. […] Invece di tessere le lodi di Dio e migliorare la conoscenza dell’Islam, i musicisti intraprendono attività inutili e talvolta dannose. […] La musica è inutile. Attraverso la musica non si produce né si ottiene nulla. Per tale motivo, alcuni degli esponenti radicali – quelli un po’ meno intransigenti – lodano sì la musicalità dei musicisti dilettanti, ma non quella dei professionisti. I professionisti dedicano troppo tempo allo studio della musica, tempo che farebbero invece meglio a dedicare a Dio. […] La musica è vista come rivale della passione degli uomini. Invece di essere rivolta a dio, la passione è dilapidata per dedicarsi a qualcosa di inutile, ma al tempo stesso potente, che può giungere a trasformarsi in un’ossessione»
(“Sparate sul pianista. La censura musicale oggi”)
A partire da quest’interpretazione (a cui si rifanno quasi tutte le esegesi), l’Islam distingue la musica in tre categorie: lecita, controversa e permessa. Lecita è la musica sacra e quella i cui contenuti sono a favore della famiglia, le ninne nanne, i canti di lavoro e la musica militare per bande; controversa è la musica di argomento serio, tutte le pratiche improvvisati vocali o strumentali, così some tutte le musiche pre-islamiche e non islamiche; proibita la musica ritenuta sensuale. Se sul terzo tipo possiamo dire che il giudizio è abbastanza relativo (opinabile, a seconda della persona che valuta), inevitabilmente si è soliti usare un criterio prudente per cui è facile che sia considerata proibita tutta la musica anche lontanamente considerabile in tal modo. Se a questa si aggiunge la musica controversa, facile comprendere che quella lecita rimanente è ben poca cosa. Non sto facendo un giudizio qualitativo, bensì quantitativo, perché è chiaro che, se va esclusa (o quanto meno attentamente analizzata) tutta la musica che non sia islamica, è evidentemente da considerare controversa la produzione di Bach o Tchaikovskij così come i Green Day o gli Jethro Tull.
Del resto, il regime talebano negli anni ’90 o i guerriglieri siriani ancora oggi si sono scagliati contro gli strumenti musicali e le audio cassette, che son stati distrutti. Curioso che si possa anche solo illudersi di poter fermare un’arte volatile come la musica distruggendone i supporti. Come se non fosse uno di quei corsi e ricorsi storici che continuano, ma che non insegna nulla a chi pensa di poter chiudere sotto chiave l’arte e le sue espressioni.
Quello che mi colpisce è notare che abbia fatto meno clamore questo attentato rispetto a quello di Parigi. Charlie Hebdomadaire era senz’altro distante anni luce dal giornalismo coraggioso di chi si mette a fare reportage in paesi di guerra o si batte per combattere l’ingiustizia. Fa satira, e della peggior specie: umorismo da osteria, di pessima qualità. È bene sottolinearlo perché anche nell’umorismo l’eleganza ha un suo perché, e possederne o esserne privi marca il confine tra un prodotto di qualità ed uno di bassa lega.
Sarò condizionata dalla mia scarsissima fede nello Stato e nelle istituzioni (forse non è bello ammetterlo, ma, approssimandosi allo zero, farei un torto alla verità affermando l’opposto!), ma personalmente ritengo più grave questo attentato di ogni altro avvenuto e forse anche di tutti quelli possibili e perfino immaginabili. In diverse occasioni, l’obiettivo era un simbolo per una nazione, per un popolo, eventualmente per un continente.
In questo caso è avvenuto, se possibile, qualcosa di più grave della morte stessa. È stato colpito il cuore del cuore dell’uomo, nel suo desiderio d’Infinito, nella sua fame di Bellezza, del suo gusto per la Verità.
Il museo del Bardo, così come ogni museo è una porta che conduce nel mondo dentro e fuori di noi al contempo: ci mette in comunicazione con l’Arte e con la Storia, ci fa assaporare le storie dei nostri avi e ci permette di immedesimarci nei loro problemi, nei loro sogni e nelle loro aspirazioni. Ogni uomo, di adesso o di millenni fa, ha in comune quell’anima infinita nella quale è impressa l’impronta dell’Infinito.
Perché chi entra in un museo, chi ascolta musica, chi legge un libro, chi si appassiona di cinema e di arte, consapevole o meno, è esattamente questo che cerca. E sapere che ci sono ancora persone sensibili alla Bellezza e capaci di emozionarsi di fronte ad una poesia o una canzone è una di quelle notizie che fa stringere il cuore e lo riempie di speranza per l’avvenire. Perché chi è sensibile alla bellezza, probabilmente farà meno fatica a capire la giustizia e a cercare spontaneamente la verità.
Chi ricerca la bellezza, è disposto a “perdere” il proprio tempo, nel tentativo di perfezionarsi, non si accontenta del primo risultato ma punta sempre in alto, alla ricerca del miglior possibile. Chi non si accontenta, persegue la verità anche quando non è palese, ma confusa ed ingarbugliata: invece di lamentarsi, s’impegna in prima persona per “sbrogliare la matassa”, quando è aggrovigliata.
Ecco perché un attentato come quello al museo del Bardo non è solo un attentato alla Tunisia, a Tunisi, o ai tunisini, ma alla speranza stessa che l’impronta dell’Arte nel cuore dell’uomo possa renderlo migliore nel cammino di perfezionamento di se stesso.