Agli appuntamenti con Cristo si va sempre di fretta: una volta giunti a Lui, poi, ci sarà tutto il tempo per riposarsi stando con Lui, per rimettersi in cammino dopo averlo incontrato, per riprendersi dopo lo stordimento di quella Bellezza inaudita, che lascia attoniti. Di corsa, poi si rallenta: è la velocità della liturgia, della Quaresima, della conversione (liturgia della Domenica delle Palme). Cinque settimane di fretta – dove ai giorni sembra solo importi diventare settimane – per approdare all’ultima settimana, quella che il popolo cristiano additerà come santa. Qui dentro, si conterà i giorni, le ore, i minuti: qualcuno, magari più avvezzo agli affari di cuore del Vangelo, la scandirà in secondi. Certi istanti di questa settimana sono carichi come fucili puntati: toccarli è rimanere fulminati, accendersi, scoprire di non essere più gli stessi di prima. Da una corsa affannata e affannosa ad un cammino lento e faticoso: a Gerusalemme ci si arriva sempre di corsa e con mille intenzioni di bontà. I gesti parlano laddove le parole tacciono: i ramoscelli d’ulivo, i tappeti sulle strade, i canti dell’Osanna. Il batticuore, il battimano, il battipanni alle finestre di questa città strana e straniera alla gioia del Cristo.
Lui entra: in sella ad un puledro, figlio d’asina. Varca quelle porte con solennità, il suo sguardo è quello di un Re bistrattato ma pur sempre Re, il suo cuore è quello di una madre considerata zingara ma pur sempre madre. Oggi Lo pressano, Lo incitano, Gli innalzano canti: tempo tre giorni – forse anche qualche attimo in meno – e Lo derideranno, lo sbeffeggeranno, Gli tenderanno l’ultima delle tentazioni possibili, la più infausta e luciferina. Fin sotto la Croce Satana lo segue, quell’Uomo lo tormenta al punto tale che fin sul Golgota cerca di smascherarne la fallacia e l’inaffidabilità: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». La prima fu nel deserto, poca roba al confronto: pietre che diventano pane, inchini che diverranno potere, tuffi dal pinnacolo che si tramuteranno in abbracci di angeli. Fu un tracollo per Satana quel giorno: se ne uscì sconfitto da quella potenza e trafitto da quello sguardo. Il Bastardo non mollò, non s’arrese nemmeno la Bellezza, però. Lassù s’incrociarono, nel pomeriggio della farsa che s’era annunciato con il canto di quel gallo malandrino, che tanto pianto arrecò al cuore di quel pescatore così smisurato nelle ambizioni e nei propositi. Lui e l’altro, la Bellezza e l’Inganno, la Gloria e la vanagloria: “Scendi, ti crederanno”. Lui tace e resta: lassù, deriso, irriso. Consolato da un brigante tumefatto che Gli confida la più fanciullesca delle intimità possibili: “Tu sei Re, lo vedo e lo sento. Stasera, da Lassù, fai una preghierina per me. Punto”. L’Altro, il Re tumefatto, a porgergli l’invito alla festa delle feste: “Una preghiera? Stasera tu sarai con me Lassù”. Fu la prima canonizzazione della storia: firmata da Lui, davanti a Satana, sul Golgota. Certe gesta esigono palcoscenici all’altezza dell’imbarazzo. Poco importa se rimarranno indigeste: sono “cose di Cristo”.
Giorni al rallentatore. Da domenica, giorno di festa, si rallenterà ancora di più: a scalare, fin quasi a fermarsi. Sarà un andare in prima: la lentezza del Giovedì, l’ansia e la spavalderia del Venerdì, il silenzio attonito del Sabato: fine corsa, fine del bel tempo, fine delle illusioni. Con quell’urlo che ancor oggi devasta: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!». La paura del Cristo: troppo male lì davanti, troppa menzogna da smaltire, che angoscia. “Padre, evitamelo!”: è l’Uomo Gesù che parla, che ansima, che trema. «Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Due volontà a confronto: il Padre e il Figlio, la scappatoia e l’amore, la Terra e il Cielo. Prevarrà la volontà del Padre: mica alta teologia, l’ennesimo affare di cuore. Volontà del Padre non è far ammazzare il Figlio, ma è non tornare indietro sui suoi passi vedendo cosa l’uomo Gli sta facendo. No, Lui non cambierà idea: questo mondo scassato continuerà ad amarlo.
«Probabilmente Dio si rese conto che, avendo sbagliato ad aspettarsi l’impossibile dall’uomo e poi a punirlo (per aver disatteso quelle aspettative), avrebbe fatto cosa più ragionevole a provare maggiore simpatia per gli errori umani (…) Sono disposto a sopportare un’umanità peccatrice, dice Dio, a lasciare spazio alla debolezza dell’uomo, dal momento che non posso avere la botte piena e la moglie ubriaca: non posso avere un essere libero dal peccato che sia al tempo stesso un uomo. Meglio un’umanità peccatrice piuttosto che un mondo senza uomini» (Y. Muffs, The personhood of God).
Rotto, slabbrato, confuso: rimarrà il loro mondo. Pianse la morte del Figlio, ma quell’infamia nulla potè contro quell’Amore folle e bambino: lo farà risorgere con un colpo da Maestro. D’amante. Quando si dice: “Ti voglio un bene da morire”. Certi proverbi, quando toccano la vita, sono Vangelo. Notizia buona da sentirsi. Gustosa d’assaporarsi. A mangiare la mandorla, però, occorre rompere il guscio. Per non farsi del male.