Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
formiche

Sembra incredibile, eppure è straordinariamente vero: la Chiesa è nata da un soffio. Nata da un soffio in un giorno qualsiasi, in un giorno di ordinaria quotidianità. In un giorno in cui un drappello di uomini, paralizzati dalla paura e asserragliati per paura del mondo esterno, sono stati spinti fuori da una bufera di vento gagliardo (liturgia della Solennità della Pentecoste). Creati con un soffio, inviati con un soffio. E pensare che ormai nessuno si aspettava più nulla da quegli individui. Erano degli sconfitti, un numero esiguo, apparentemente insignificante e per di più decapitato (il loro leader maximo era scomparso definitivamente). La situazione si era normalizzata: l’ultima volta li avevano visti con lo sguardo fisso sulle nuvole e pensavano che il pericolo fosse oramai neutralizzato. Ormai la situazione si era definitivamente normalizzata, dopo l’agitazione provocata da quel guastafeste poco apprezzato che era sbarcato dalla terra sconosciuta della Galilea col suo manipolo di straccioni. Normalità era la parola d’ordine: la lezione inflitta a quegli incapaci doveva essere servita nel caso qualche esaltato coltivasse ancora delle idee bizzarre. Tant’è vero che a Gerusalemme era accorsa sa tutta la regione, come ai vecchi tempi.
Situazione sotto controllo, non fosse altro che per un piccolo fuori programma. Un fuori – programma che fa saltare in aria tutto il programma: cosa succederà? Difficile rendersi conto di quello che sta succedendo. Impossibile prevedere le conseguenze. Anche perché quel lampo di genio ha tutta l’aria della serietà, non si presenta come una semplice vampata d’entusiasmo. Non lo sa nessuno. Non lo sanno nemmeno loro, gli eterni spiazzati dai colpi d’ala del Maestro. Non sono stati preparati dei discorsi. E poi distribuiti, spiegati, riletti e corretti. No, la Chiesa improvvisa. Lo Spirito mette in bocca a quegli inesperti parole nuove, mai sentite prima. Desta stupore perché spunta all’improvviso, nel momento meno pensabile, dice delle cose stupendamente giganti, si comporta in maniera insolita. E poi è una chiesa apparentemente maleducata: non ha chiesto a nessuno il permesso di uscire allo scoperto, non ha concordato i modi, non ha discusso sui tempi – finanziamenti – interessi, non ha preteso garanzie in caso di bancarotta. Si è trattato di un incidente. Incidente dalle conseguenze serie stavolta.
Incidente! Incredibile: la Pentecoste è la radiocronaca di un incidente non prevedibile. Eppure questa sembra gente preparata: “ognuno li sentiva parlare la propria lingua”. Che poi era la lingua di tutti i giorni, lingua che profuma di bucato e di panni stesi al sole, il dialetto della vita di tutti i giorni, delle cose quotidiane. Quella in cui il pane si dice semplicemente pane, l’acqua si chiama acqua e incontrando una persona la si saluta semplicemente con un “buongiorno” che vuol dire veramente buongiorno. Parlavano il gergo del popolo e inanellavano cose strabilianti, fatti e azioni che non dipendevano da loro: “Tutti erano stupiti e perplessi e si chiedevano l’un l’altro: Che significa questo?” (At 2,12). Altri tentavano di tenere a bassa quota la portata di quell’ondata d’improvvisazione: “Si sono ubriacati di mosto” (At 2,13) Ma tu te la immagini la gente di Gerusalemme: i grandi capi, i dottori, le maestranze varie, le pance decorate al valore civile. Poveracci! Loro avrebbero preferito (anzi, ne erano profondamente convinti) che quegli uomini paralizzati dalla paura rimanessero per sempre inchiodati in casa, così come li aveva scovato il Maestro Risorto. Non avevano calcolato un fattore: la fantasia dello Spirito Santo. Oggi c’è bisogno di spolverare questa parola dalla potenza inaudita. Fantasia, cioè la capacità di creare, il brivido di scoprire, l’astuzia di accendere il cervello, il coraggio di buttarti su strade nuove. Ne sapeva già qualcosa Geremia: “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa: mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,9). Non poteva, povero Geremia: mica dipendeva da lui tutta quella foga profetica.

“Insegnami a cercarti e mostrati a chi ti cerca, perchè non posso né cercarti, se tu non me lo insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti. Che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti. Riconosco, Signore, e te ne ringrazio, che hai creato in me questa tua immagine perchè, memore di te, io ti pensi e ti ami. Ma essa è talmente consumata dal logorìo dei vizi, è così offuscata dal fumo dei peccati da non poter fare ciò per cui è creata, se tu non la rinnovi e la riformi. Non tento, Signore, di penetrare la tua altezza, perchè in nessun modo paragono ad essa il mio intelletto, ma desidero comprendere in qualche modo la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Infatti non cerco di comprendere per credere, ma credo per comprendere. Giacchè credo anche questo: che “se non crederò, non comprenderò” (Is 7,9).
(Anselmo di Canterbury, Proslogion I, Rusconi, MI, 1996)

Da duemila anni è in atto un tentativo convinto di spezzare le ali alla fantasia dello Spirito Santo. Se vuoi provarci anche tu, in bocca al lupo. Ma mi sa tanto che anche la tua sarà l’ennesima lotta della massaia con le formiche. Avete mai osservato una tribù di formiche che s’insedia in una casa? Eccole sul focolare. La donna non lascia più cibarie lì e le mette sul tavolo. E loro fiutano l’aria e danno l’assalto al tavolo. La donne le mette nella credenza e loro passano dalla serratura della credenza. La donna appende al soffitto le sue provviste e loro fanno un lungo cammino lungo le pareti e i travicelli, si calano per la fune e mangiano. La donna le brucia, le scotta, le avvelena. E poi sta tranquilla convinta di averle distrutte. Oh! Se non vigila, ecco la sorpresa! Ecco le nuove nate che escono, e siamo da capo. Così finchè si vive.
Una chiesa di formiche inarrestabili. Dentro un mondo di cicale festeggianti!

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