Non gliel’hanno perdonato quell’azzardo di domenica scorsa: “oggi si è adempiuta questa scrittura”. Se lo sono legati all’orecchio e appena hanno potuto gliel’hanno rinfacciato. Nonostante oggi a Nazareth gonfino il petto d’orgoglio: torna a casa uno di loro e quel piccolo borgo mai nominato nella Scrittura diventa il centro del mondo: Colui che torna è uno che fa parlare di sé fuori dalle campagne nazaretane. Uno che ad Erode un giorno gli cucirà addosso l’appellativo poco ragguardevole di volpe e scorgerà una somiglianza tutta sale e pepe tra i capi religiosi e i serpenti. Lì per lì ne erano rimasti affascinati, sedotti e forse anche un po’ catturati; ma basta un attimo e quella sana curiosità la trasformano in una malizia gelosa: “non è costui il figlio di Giuseppe?” (liturgia della IV^ domenica del tempo ordinario). Certo: lo avevano visto giocare insieme ai loro figli, l’avevano udito più e più volte tossire per le viuzze al calar del sole, l’avevano sentito rantolare dopo un lungo inseguimento sui prati ingialliti di anemoni. Nessuno è profeta in patria: questo anche i muri lo sanno. Ma c’è da credere che Gesù s’aspettasse da quelli del suo paese uno strappo alla regola, un’eccezione che confermasse la norma: e invece, strada facendo, dovrà accorgersi che i suoi nemici sono proprio lì, “tra i suoi parenti, in casa sua e si meravigliava della loro incredulità” (Lc 6,4-6). L’evangelista-pittore tratteggia splendidamente il montare della rabbia nel cuore dei paesani: “lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte per gettarlo giù dal precipizio”. Insomma, volevano ammazzarlo, tutti insieme, a denti stretti, compatti. Crocifisso anzitempo per il semplice motivo d’essersi addossato l’onere e l’onore di svelare il senso della storia dell’uomo. Che importava loro dei ciechi ai quali ridare la vista o dei prigionieri da liberare: che morissero nella loro cecità e marcissero nelle loro patrie galere. Loro volevano il miracolo, ecco il motivo: a Nazareth sono ingordi di miracoli questa domenica. Vorrebbero il miracolo a tutti i costi: per loro, paesani raccomandati, un miracolo è il minimo. Come a Cafarnao, come dopodomani a Naim, come lungo la strada farà con Timeo. Dei miracoli, però, Cristo fu nemico: lo capiremo fra poco. Quale più quale meno, tutti i miracoli sono strappati alla sua pietà, carpiti alla sua condiscendenza, persino rubati con l’astuzia. E ogni volta che ne concede uno, noi sappiamo che quel cieco che apre gli occhi, quello storpio che getta le crucce, quel morto che risuscita non è il vero miracolo, se non per noi. Per Lui il miracolo è un altro, quello che dovrebbe sgorgare di conseguenza, per ottenere il quale ha ceduto a farsi mago e che invece gli riesce solo raramente: la fede. Vogliono il miracolo, ma Lui non lo compie perché manca la fede! E loro? “Furono pieni di sdegno, si levarono, lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero fin sul ciglio del monte (…) per gettarlo giù dal precipizio”. Ovviamente.
Schifosissimi paesani di Gesù: verrebbe da redarguirli stavolta per aver sottovalutato quel Nazareno che il mondo cercava ovunque e loro avevano in piazza. Quanto pagheremmo per tirare loro le orecchie: screanzati che non sono altro. Però poi ci guardiamo allo specchio e anche il nostro viso racconta di quei lineamenti: anche qui, in terra non palestinese, ci si comporta come laggiù, oltre il Libano: quello che di Lui ci rompe, lo spostiamo. Per chiedere a lui quello che vorremmo noi e che, quasi sempre, è quello che non desidera Lui. L’unico che rimane ugualmente diverso è Lui: ieri e oggi “passando in mezzo a loro, se ne andò”. Sgattaiolò sotto i loro occhi, magari lambendo la veste dei giorni di festa: perchè l’uomo potrà anche inventarsi un Dio a suo uso e consumo, un’industria di prodotti preconfezionati che qualcuno chiamerà chiesa, un catechismo che racconti la lontananza onnipotente di Dio. Potranno fare tutto gli uomini, magari usando pure il suo nome. A non cambiare è l’esigenza del Maestro, quella mostrata a Nazareth in anteprima: che i miracoli avvengono solamente laddove il cristianesimo non è un gioco da oratorio.