1962_cIl giorno del mio compleanno (13 agosto 2011) mi ha riservato un regalo d’eccezione: una serata per ricordare padre Gherardo Gubertini, di sicuro sconosciuto ai più ma notissimo ai piacentini e ai carennesi per la sua opera a favore dell’infanzia che, presa forma nel dopoguerra, è tutt’ora pienamente attiva tramite i suoi collaboratori. In quest’appuntamento con ricordi anche miei, d’infanzia e d’adolescenza, mi ha colpito in particolare un’immagine, con relativo commento dal sapore epico. Pare infatti che un importante imprenditore, noto per il suo essere anticlericale, rimase colpito dal frate intento a trasportare i mattoni e il materiale edile con la carriola su per la salita fino al luogo ove sarebbe stata edificata la residenza estiva dei ragazzi (in via Pertus, a Carenno). Rimase talmente colpito che non solo divenne generoso benefattore della Casa del Fanciullo di Piacenza, ma tornò perfino a frequentare i sacramenti.

Questo pare confermare ciò che tanti fatti piccoli e grandi ci dimostrano.

Il mondo non richiede maestri, non servono. Forse, oserei dire, perché ce ne sono anche troppi che si spacciano (impunemente) per tali. Il mondo cerca testimoni: credenti credibili. Ezra Pound diceva che se qualcuno non è disposto a dare la vita per le sue idee o non valgono nulla le sue idee o non vale nulla lui. E a maggior ragione se si tratta non di un’idea ma di Cristo, non di un’idea ma della possibilità concreta di essere di sostegno ai bambini, che sono il futuro. E mi permetto una sottolineatura. Parlare del dare la vita porta a pensare a chi offre la vita, a chi muore. Ai martiri, magari. Giusto. Perché è giusto non escludere la propria fermezza di fronte anche alle minacce e alla violenza e anzi, porsi come obiettivo proprio questa saldezza, forte e serena. Tuttavia, c’è un altro senso, forse anche più profondo e – in certo senso – radicale. Dare la vita dovrebbe significare innanzitutto spendere la propria vita e farlo per qualcosa di grande, per qualcosa di più grande di noi, per meno non ha neppure senso impegnarsi, forse. Perché l’uomo ha bisogno di puntare in alto e di non accontentarsi. Perché quanto ci tieni lo vedi nel tempo: essere impegnati “part time” non ti coinvolge davvero, nell’intimo, nella tua essenza. Solo quando il coinvolgimento è quotidiano, allora acquista un significato vitale, non è più un abito da festa, è un modo innato, diventa quindi una parte integrante della propria vita. E questo, da fuori, si vede, si avverte. Fa nascere quanto meno la curiosità che fa domandare: “Perché, per te, Cristo è importante?”. E la domanda sorge molto di più nella semplicità di una carriola da trasportare, quasi a richiamare innanzitutto i laici al loro ruolo di testimoni, nel mondo, nel loro vivere, nel mondo del lavoro, da cristiani.

 

Essere diversi è, forse, molto spesso, il primo passo per entrare in contatto con l’altro. Perché un fraticello te lo immagini in chiesa a pregare, specie se sei un imprenditore della bergamasca poco avvezzo alle novità e che, anzi, è abbastanza contento di poter mantenere fisse le proprie piccole certezze. E vedere, cinquant’anni fa, un frate francescano, per di più “forestiero”, intento al lavoro edile era qualcosa di straordinario e inusuale. Bastava quest’immagine a far riflettere, forse a smuovere le coscienze (chi lo sa?).

Un’altra caratteristica che questo episodio evidenzia è l’essere radicali e il mettersi in gioco in prima persona. Perché se io vedo un fraticello che si sporca le mani direttamente, senza delegare altri, semplicemente perché c’è bisogno, questo dà la cifra di quanto sia importante, per lui, portare a compimento quel progetto a favore dell’infanzia, quanto lo ritenga prioritario.

Tutto ciò fa riflettere e porre domande: se quel fraticello non teme di sporcarsi le mani, di spendersi per dei bambini, perché anch’io (imprenditore, studente, muratore, impiegato) non potrei fare lo stesso, e a titolo gratuito (volontariato)? È questa la domanda, estremamente concreta, che pare rimbalzare di volto in volto tra i volontari, che siano della prima o dell’ultima ora. E, in quella serata di memoria, il grazie si dispiegava proprio in questa direzione: aver compreso che era possibile dare per il bello di donare un sorriso, un momento di gioia, una piccola sorpresa a uno di questi piccoli.

Questo mi spinge a fare alcune riflessioni.

Innanzitutto, non sono i valori di Cristo ad essere vecchi, siamo noi vecchi quando non sappiamo renderli carne e sangue della nostra quotidianità: è allora che puzzano di stantio, come il vino nuovo in botti vecchie.

È curioso pensare che l’ispirazione della fondazione nacque in Russia*, durante la Guerra in cui padre Gherardo ebbe parte rilevante in qualità di Cappellano. Allora, forse, invece che maledire i tempi nefasti, davvero il segreto per reagire a tante situazioni negative è quello di portare luce dove è buio. Vale a dire: quando non si ha fame, è difficile che ci si renda conto di quanto sia importante mangiare. Ma quando uno ha provato i morsi della fame, ma quelli veri che ti prendono allo stomaco come una tenaglia, allora ci si rende conto che il cibo ha un valore inestimabile. In epoca di guerra, sostenere le famiglie bisognose e occuparsi degli orfani era una necessità impellente e non rinviabile. Oggi non c’è la guerra. Eppure gli orfani, ancora adesso sono tantissimi: non mi riferisco naturalmente solo a chi ha perso fisicamente un genitore ma a chi, per i più svariati motivi, si ritrova solo e abbandonato. La società del benessere non ha prodotto solo ricchezza: è un fatto sotto gli occhi di tutti! E, oggi, come allora, si rinnova il grazie all’impegno di tante persone che, tramite la Casa o in altri modi, spendono tempo ed energie per i ragazzi.

Infine, una caratteristica particolarmente evidente da subito (e che si mantenne lungo il corso degli anni) fu la tensione verso una radicale attuazione del principio di sussidiarietà. La famiglia era sempre al centro, la Casa si affiancava a lei nell’educazione e nell’istruzione dei figli, ma mai per sottrarli alla sua potestà. La Casa si proponeva e rappresentava un aiuto su cui poter contare, ma mai un sostituto o un surrogato dell’istituzione familiare. Questo importantissimo caposaldo dovrebbe far riflettere chi parla della Chiesa come un impedimento allo sviluppo: trovo piuttosto che solo dalla collaborazione tra le parti sociali possa nascere un cammino di sviluppo e progresso che promuova l’uomo nella sua interezza e complessità!

Il Novecento ci ha regalato figure di giganti della fede e della carità: in questo ventunesimo secolo, tribolato da tante vicissitudini, ma certamente non privo di risorse, possano queste essere sprone ed ispirazione per noi, per una maggiore autenticità, credibilità, ma io direi anche… concretezza!

*cfr. Un saio nella steppa. Diario del cappellano militare in Russia padre Gherardo Gubertini. Raccolto da Franco Balletti. Rozzano, Gajani, s.d. (1986)

Link consigliati:
Casa del Fanciullo di Padre Gherardo
Libertà

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