Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
giuliagianesini

Una presenza discreta e mai sopra le righe, figlia fedele di una terra semplice dove il fare è sempre la conseguenza del pensare. Dove la grandezza di un uomo e di una donna – come amava scrivere la poetessa Alda Merini – si misura dall’intensità dei sogni e non dalle gesta compiute. I sogni di Giulia, per l’appunto: uno dei volti “celebri” di un Altopiano che agli sport di fatica e di sudore ha dato e dedicato anni di duri allenamenti, d’immani sacrifici e di rispettabili prestazioni grazie ai suoi figli. Una terra che a loro ha lasciato in eredità il testamento più nobile che esista sotto il cielo di quaggiù: ognuno ha il diritto d’invecchiare, senza rincorrere un’eterna giovinezza a tutti i costi, costi quel che costi, magari pure barando. Giulia Gianesini ha trent’anni: una vita in mano, tanti sogni e altrettanti giorni a disposizione, stagioni e progetti ancora a lungo termine. Giovane, eppur “vecchia” per il mondo dello sport: un mondo che innalza e abbassa con la medesima destrezza, un pianeta dove la tentazione somma è quella d’ostinarsi a rincorrere a tutti i costi una giovinezza che se n’è andata tra allenamenti, competizioni e malanni. La crudeltà dello sport: ci si ricorda di chi vince, di chi strappa primati, di chi s’appresta a polverizzare record e surclassare i predecessori. Pochi si ricordano di chi perde, di chi non ci arriva fin lassù, di coloro per i quali – come direbbe papa Francesco – «meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca». Di coloro che ce l’hanno messa tutta per far brillare i talenti donati da madre Natura.
Giulia è più donna delle seconde possibilità che delle prime: al posto delle vittorie lascia l’eredità di una passione, la forza di un sogno, la possibilità di un seguito: «Lo sci – scrive nel suo profilo Facebook – è sempre stato per me passione, coinvolgimento, dedizione e divertimento e ho sempre promesso a me stessa che qualora una di queste fosse venuta meno non avrebbe più avuto senso continuare su questa strada». D’altronde vincere non è solo arrivare primi, ma tenere accesa la fiammella della passione quando tutto gira al contrario, quando la vittoria ti sbeffeggia nel mentre l’hai quasi raggiunta, quando la sorte ha in serbo per te l’ennesima sorpresa, sportiva o dell’anima poco importa. Lo sport nella vita di Giulia è stata una parentesi, seppur bella e aggraziata, forse anche un trampolino di lancio, un’occasione per conoscere meglio se stessa e spingersi laddove senza la pratica sportiva non sarebbe mai giunta. Ci son limiti lavorando sui quali ci si rafforza senza per questo doverli sfidare ad oltranza, ci son vittorie nella cui amarezza giace il sospetto di una nuova conquista, ci son beffe che qualcuno sa trasformare in occasioni di rivincita e di rinascita. Perché lo sport – e la vicenda sportiva di Giulia ne è la bella testimonianza – non è solo imparare a vincere ma sopratutto imparare, quando si perde, a rialzarsi e rimettersi in moto. Più motivati, più forti, più arditi.
Prima di lei, qualche anno addietro, anche Enrico Fabris ha lasciato nel pieno della maturità. Oggi tocca a lei, domani certamente a qualche altro: la lezione della gente umile avrà sempre un seguito che qualcuno sarà disposto a raccogliere. La sua rimarrà la storia semplice di una ragazza di montagna, costretta, per amore, ad inseguire un sogno che forse mai s’è avverato appieno. Ma che, in calce ad un lungo inseguimento, le ha lasciato come credito la vittoria più bella: quella d’aver saputo leggere nel profondo del suo animo l’attimo giusto nel quale scendere dalla giostra e riprendersi in mano la sua vita. Una conquista che oggi vale l’eredità più cercata: quella di saper fare un passo indietro per scoprire domani che in quell’umile indietreggiarsi era nascosto il segreto per vivere da protagonisti la propria esistenza. Senza inutili rincorse.

(da L’Altopiano, 7 giugno 2014)

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