Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

giuda(*) Pur ladro, ebbe in custodia la borsa dell’intera truppa. Pur perfido, l’Amico gli confidò segreti che nessun segreto potè mai più superare: quelli del Regno, della Grazia, dell’Amore. Pur randagio, l’Amico s’accerta che anche lui abbia un pezzo di Pane e un goccio di Vino per il suo ultimo viaggio: che non abbia a mancargli il sostentamento. Pur infedele, da Lui ricevette come contraccambio della fraudolenza massima, il massimo affinità: “Amico” (Mt 26,50). Come prima, come adesso, come sempre: come segno di un affiatamento che non muta. Imbarazzi d’amore, controsensi del cuore. Indecifrabilità.

Anche lui – il figlio di Keriot, l’Iscariota dannato – va di corsa con un pezzo di pane. Non nella bisaccia, non nascosto nel lino, non stretto in mano: nello stomaco, nelle interiora, dentro. Cristo s’era nascosto dentro di loro – anche di lui – prima che l’arrestassero: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo (…) Bevetene tutti, perchè questo è il mio sangue dell’alleanza” (Mt 26,26-28). S’illuderanno d’averlo preso, ma i mercenari dell’Iscariota avranno solo un corpo su cui sfogarsi, della carne da battere, una storia da scagliare al ludibrio. Lui no: lui è dentro loro, rattrappito in un Pane non più pane, bagnato da un Vino non più mosto.

Custodito da storie non più storie. Han piedi puliti e profumati, oltreché baciati e asciugati. Tutti: dodici per due. Non dodici per due meno due. No: anche quelli di Giuda sono stati preparati per il viaggio. Al suono di trombe e bastoni, il Rabbì li lascerà liberi: “Andate. Che ognuno vada dove deve o dove vuole andare”. Con piedi nudi e baciati, con un companatico a far loro da vivanda, con una memoria come cartina di viaggio. Che ognuno vada: farete questo in memoria di me. Amen.

Del Pane l’Iscariota non sa che farsene: è memoria di una delusione, l’eco di una storia immaginata diversa, canovaccio di un amicizia che l’ha tradito nei sogni, nelle prospettive, nella fantasia. Mille giorni appresso a Lui, una serie di mille delusioni ininterrotte: «La delusione non è che bassezza, poiché quello che in un primo tempo amavi nell’uomo per qual motivo dovrebbe essere distrutto se ci sono anche altre cose in lui che non ti piacciono?» (A. de Saint-Exupéry, Cittadella).

Quel pane per lui non è fragranza: è rabbia, insuccesso, inquietudine. Non val più nulla quell’amico: trenta monete, poco più. Come un animale nei giorni prossimi alla Pasqua: trenta monete per un agnello, trenta monete per avere Cristo. L’amico, il Confidente, l’Agnello che il figlio di Keriot vorrebbe leone, o pantera; camaleonte, perchè no? Tutto, insomma, eccetto che impotenza e derisione. Trenta denari e l’affare si chiude: la traccia di un amore andato sciupato.

Di più: andato venduto. Svenduto, come al mercato delle bestie. Per l’Iscariota l’amico che ti delude non val più d’una bestia da macello. Per il Nazareno l’amico che tradisce rimane l’amico di un tempo: quelle dei meriggi passati sul lago a meditare le Scritture, a pregare appresso alla casa di Marta, a urtare con l’incredulità delle plebaglia di Nazareth. Passati in compagnia di un amico. Che sarà ancora amico. Per sempre amico.

Pare un pazzo l’Iscariota fuggitivo. Come chi, inseguito da una muta di cani randagi, imbocca la prima via che trova. Coi capelli scompigliati dal terrore, con l’angoscia furente nel cuore, con la rabbia di chi fantasticava quell’Amico come un forte, un Re, un liberatore. Anche della borsa coi denari s’è alleggerito: gliel’ha scaraventata addosso ai medesimi dai quai era giunta, quasi ad affrancarsi da quel gesto. Correrà con una corda in mano. L’Amico salirà con una Croce sulle spalle. S’incrociano forse con lo sguardo nel baillame di una città confusa e agitata: attimi, frammenti, scorci di sguardi. Quanto basterà per accelerare la corsa dell’Iscariota. Dell’Iscariota che il Re mancato ha amato senza mezze misure.

Ad oltranza, con medesimo afflato, con identico trasporto: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!” (Mt 26,48). E’ l’inizio della passione di Cristo. L’inizio della passione di Giuda: nessuno più ferma il fuggitivo con la notte nel cuore. Vede nemici ovunque, mastini alle calcagna che lo puntellano, inseguitori che non gli concedono tregua. Correrà, a dismisura. Finché potrà, finché riuscirà, finché ce la farà: sembra duro fuggire a se stessi sotto il Cielo.

Con un tozzo di Pane dentro morirà: sull’Amico ha potuto tutto, eccetto l’ardire di quella Presenza. Giuda è un tabernacolo: nemmeno questo accetta più di sé. Una corda e via: quattro, cinque calci al vento e l’ultimo rantolo. Rimarrà la lingua fuori: scura, bavosa, nervosa.

La lingua con cui s’approvano gli amori.

Amori indecifrati. Indecifrabili.

 


 

* (brano tratto da Marco Pozza, L’imbarazzo di Dio, San Paolo 2014)

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