A Cafarnao Satana, dopo quella figuraccia dentro il deserto, sferrò battaglia ancor più ferrea: Gli sciolse addosso una muta inferocita di ossessi che lo smascheravano. Aggiungeteci tutta quella banda di oppressi e di guastati dal peccato che Gli si contorcevano addosso: sulla cima, sulla riva, lungo la carreggiata. Da dentro le case, da fuori le case, dai tetti delle case. Un trambusto degno d’un Uomo che dava adito di non somigliare a nessun altro uomo. Da Cafarnao, terra di pescatori dai dialetti scarni e paesani, l’Uomo con la schiena dritta un giorno s’incamminò verso Gerusalemme, la città che al linguaggio dei bambini preferisce di gran lunga quello dei rabbini, che al dialetto dei pescatori risponde con la grandeur di chi sa: professionisti di Dio, cesellatori dei suoi misteri, folli ambulanti di un mercato scambiato per salvezza.
Lui entra e dà di matto. Tra branchi di buoi, lana di pecore e frotte di colombe pronte per lo smercio, l’Uomo non ci sta: «Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”» (liturgia della III^ domenica di Quaresima). Accadde il finimondo: quella frusta di corde addosso in mano al Furioso era qualcosa d’inaspettato, d’inaudito, d’improvviso. D’inaccettabile: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Eccoli i Giudei: ossessionati dai segni, dalla formalità, da quelle abluzioni vuote e rinsecchite dietro le quali avevano nascosto la loro idea di Dio, di fede, di mistero. I segni: “Mostraci le generalità. Dicci dove abiti. Spiegaci cosa vuoi, chi credi di essere, dove pensi di arrivare”. Poteva tutto: di sciancati e di maledetti ce n’erano in abbondanza. Ciechi, storpi e zoppi infestano da sempre le città che sono incrocio di manovre e di traffici. Di cuori affranti e smidollati Gerusalemme era piena. Sotto quegli occhi, Lui, armatore di giganti, poteva tutto. Non fece nulla di tutto ciò che era in suo potere: perchè un segno se nessuno di quelli lo chiede? Nessun segno, solo una frusta in mano. Quella megalomania, però, lor signori non la potevano accettare: c’è sempre qualcuno che s’appiglia a quel “cosa c’è di scandaloso? Lo si fa per il buon Dio”. E lui a dare di martello, di petto, di cuore; nel nome di quella passione per la casa di Dio che divora chi lo teme, chi lo ama.
A furia sbollita – anche se non troppo quando di mezzo ci sono i saccenti dei misteri – spara la botta finale. Si volta verso la creme d’alto rango della città e li punta dritti nello sguardo. Accecati: “Eccolo il segno. L’avete chiesto voi: dopo questo, non ci sarà più segno”. Loro, uomini di baratti e di buoi, tutto orecchie e tutt’occhi: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Apriti cielo: aveva osato nominare il Tempio. Per di più abbinandolo con il tema della distruzione: il Tempio distrutto. Cercarono di farglielo capire: “Quarantasei anni contro tre giorni, capisci quel che dici, Uomo con la frusta?”. Lui capiva eccome. Furon loro, ancora una volta, a capire fischi per fiaschi. E ad agire come di chi, capito fischi per fiaschi, si convince d’aver capito il giusto.
Occorre custodire il nostro cuore dove abita lo Spirito Santo – sottolinea il Papa – “perché non entrino gli altri spiriti”. Custodire il cuore, come si custodisce una casa, a chiave”. E poi vigilare sul cuore, come una sentinella: “Quante volte – osserva – entrano i cattivi pensieri, le cattive intenzioni, le gelosie, le invidie. Tante cose, che entrano. Ma chi ha aperto quella porta? Da dove sono entrati? Se io non mi accorgo” di quanto “entra nel mio cuore, il mio cuore diviene una piazza, dove tutti vanno e vengono. Un cuore senza intimità, un cuore dove il Signore non può parlare e nemmeno essere ascoltato”.
“E Gesù dice un’altra cosa lì – no? – che sembra un po’ strana: ‘Chi non raccoglie con me, disperde’. Usa la parola ‘raccogliere’. Avere un cuore raccolto, un cuore sul quale noi sappiamo cosa succede, e qui e là si può fare la pratica tanto antica della Chiesa, ma buona: l’esame di coscienza. Chi di noi, la sera, prima di finire la giornata, rimane da solo, da sola, e si fa la domanda: cosa è accaduto oggi nel mio cuore? Cosa è successo? Che cose sono passate attraverso il mio cuore? Se non lo facciamo, davvero non sappiamo vigilare bene né custodire bene”.
(Papa Francesco, Meditazione a Santa Marta, 10 ottobre 2014)
Fu il via! Che scatenò l’inferno: nei loro cuori e nei suoi confronti. Eccolo, l’impostore. Ecce homo: preso in flagrante delitto d’onnipotenza, d’irriverenza, d’irrispettosità. Hanno capito fischi: “Distruggete le pietre, le rimetterò in sesto”. Erano fiaschi: “Uccidetemi, risorgerò!”. Ciò che a loro importava era di incastrarlo, d’avere in tasca due paroline che, di lì a tre anni, potranno servire loro a ingrassare quel processo farsa intestato da quel pivello di Pilato. Che importa all’Uomo che di lì a tre anni ficcheranno su una Croce e, tempo tre giorni, di quella Croce farà brandello di vittoria? Li lascia fare, li lascia pensare, li lascia agire. Mica s’ostina a convincerli: semplicemente li acceca di profezia. Li rende partecipi di ciò che sarà: di Lui, di loro, della storia. Fallì? Semplicemente tirò dritto per la sua strada: chi ha un grande perchè trova modo di reggere qualsiasi come. Rimase quella sfuriata che, ovviamente, qualcuno s’appese all’orecchio e non tardò a rinfacciarGlielo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!» (Mt 27,40). Prevedibili.
Date il tempo al tempo. Date tempo al Cristo. A Gerusalemme troppi galli cantavano e non si faceva mai mattina. Da troppi anni.