La legge non ammette ignoranza. Perché troppi
tradimenti sono stati marchiati contro lo sport. A farne le spese stavolta,
dopo il Riccò esuberante delle pirenaiche salite francesi, è la laziale Marta
Bastianelli, campionessa del mondo in carica. Pizzicata, forse per un peccato d’ingenuità,
alla vigilia della magia di Pechino 2008. Tradito lo sport, truffato quel
destriero fedele chiamato bicicletta, umiliata la passione di migliaia di
tifosi che sfidano intemperie, salite, attese per lasciarsi conquistare da un fiume
di colori, dal fischio del tubolare che lambisce l’asfalto, dal sudore stanco
dell’atleta, dalla poesia di uno sport che annovera azioni gloriose. E drammi
tremendi. Perchè rovinare la poesia del gesto atletico, ingannare la fiducia
della gente, valicare il limite dell’umana resistenza?
Alla partenza per Pechino ancora una volta la frase azzeccata
è uscita dalla penna di chi alle Olimpiadi, per un soffio, non ci va. Pur
avendo già al collo la sua corona d’alloro. Nel suo libro, Dream Runner, il Pistorius sud – africano scrive: "Con il doping, anche se fai un tempo
eccellente, non è perché hai superato te stesso: se sei dopato non sei tu a
gareggiare". Ma nemmeno stavolta sarà la fine. Perché c’è ancora chi,
magari bambino, aspetta con ansia l’aurora per inforcare la sua bici e correre.
Verso quella fontana, quella salita, quella cima che racchiude silenzi, magia e
lotta. Con se stesso prima di tutto.
Mettendo nella borraccia un sogno: sfidare la
montagna con le sue forze.