Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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“Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio? Un apostrofo rosa fra le parole “t’amo”…” (E. Rostand)
Inflazionato, incompreso, stra-usato, centellinato con parsimonia, lanciato in punta di dita, dato pudicamente a fior di labbra, stampato sulla guancia, celebrato nelle arti più svariate, dalla poesia alla pittura, dal cinema alla scultura.
Il bacio è uno dei protagonisti delle nostre giornate, dal mattino alla sera. Un gesto d’affetto dato in velocità prima di salutarsi o regalato con spontaneità e trasporto.
Durante il triduo pasquale s’affaccia sulla scena insieme ai protagonisti. Non defilato, né una semplice comparsa, macché, calca il palcoscenico della Passione da attore consumato e là, nel Getsemani, si prende il ruolo di co-protagonista insieme a Gesù e Giuda.
In quel frangente si ricopre di ignominia, diventando il simbolo di un atroce tradimento. Da gesto d’amore a sigillo di un atto che nei secoli viene additato con disprezzo, tanto da diventare un comportamento di proverbiale infamia.

Amico, perché sei qui!” (Matteo 26,50)

Matteo osa, più degli altri evangelisti. Nonostante il voltafaccia, Giuda è chiamato ancora “amico”: è un salvagente gettato in extremis, una corda di sicurezza che deve solo essere afferrata per essere tratti in salvo, una mano tesa, per l’ultima volta.
L’apostolo, ancora per poco, non coglie l’occasione. Lo ritroveremo pochi passi più avanti, fagocitato da un rimorso che non ha il coraggio di mutarsi in pentimento.
Ma il bacio del venerdì santo è anche quello che riserviamo al Crocifisso, al momento dell’adorazione della croce. Quando abbracciati dal silenzio, a passi lenti, ci accostiamo al legno con devozione e riverenza.
Cosa ci sia nel gesto che ognuno di noi gli riserva in quel frangente è un fatto privato, un muto dialogo tra noi e chi quella croce l’ha abbracciata con amore totale e incondizionato.
Cosa ci fosse nel bacio che una piccola bimba, stamattina, ha riservato alla riproduzione di un crocifisso ligneo posto in un angolino della chiesa, mentre i grandi erano indaffarati a tenere alto il loro ulivo per la benedizione, è trapelato dalla sua infantile intenzione esclamata a voce sicura.
“Bacio passa tutto!”
Chi di noi non l’ha avuto, quel bacetto sulle ginocchia sbucciate, che non ci faceva sentire meno male, ma che ci regalava la tranquillità di essere amati nonostante tutto, marachelle comprese?
“Se non diventerete come bambini…”(Matteo 18,3) diceva il Rabbi di Nazareth.
Un bacio per amore.
Non per timore, né per sottomissione intrisa di tremore e sospetto, né soprattutto perché “tutti gli altri lo fanno, lo faccio anch’io”.
Ricordiamocelo, quando i nostri passi venerdì ci porteranno al cospetto del Crocifisso. Quando non sarà solo memoria ma memoriale, e quell’evento di ieri sarà incastonato nell’oggi, nel qui-e-adesso, davanti a te, poiché l’amore rende eterne tutte le cose.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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