Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Non c’è peggior mestiere di quello di non averne uno. In tanti han poggiato addosso gli occhi su quella ciurma di disoccupati in piazza. Cristoddìo, invece degli occhi, poggia il suo sguardo. E li interroga: «Perchè ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?» Sono le domande, non le opinioni, che potranno trovare una risposta. E nessuno, prima di Cristo, aveva chiesto loro il perchè del loro starsene appollaiati in quella triste gradinata di paese. A domanda, dunque, rispondono: «Perchè nessuno ci ha presi a giornata». Non erano, dunque degli sfaticati come congetturavano i passanti. La faccenda era molto più seria, più amareggiata: in tantissimi avevano detto loro “Vi faremo sapere!”, ma poi erano scomparsi. E la loro speranza era scomparsa assieme a loro. Ai più, passando loro davanti, sarà venuto da schernirli: “Avete già deciso che disoccupati volete essere da grandi?” Non s’accorgevano, gli opinionisti, che quella era gente che, all’insaputa di loro, era da tempo che stava svolgendo il lavoro a tempo pieno più snervante che esista al mondo: quello di scrivere curriculum, di portarli nelle aziende, di attendere una risposta che non arriva. “Ecco perchè si chiama così: curriculum vitae – disse uno di loro al dirimpettaio –: perchè si passa l’intera vita a scrivere il curriculum senza ricevere una risposta”. Ieri, oggi, domani. È vita?

A Cristo, invece, quella natura morta trafigge il il cuore: invece degli sfottò, regala loro la luce di uno sguardo. Prima di emettere un giudizio, offre loro una possibilità di spiegazione. Lui, ch’è figlio di un carpentiere, avrà avuto modo, nel silenzio di quella bottega di Nazareth, di captare le preoccupazioni dei lavoranti, l’amarezza della disoccupazione, i timori di uno stipendio che scompare. Lì avrà appreso ciò che oggi, che non è più un adolescente sbarbatello, gli torna utile in piazza: che un uomo che vuole lavorare e non trova un lavoro è lo spettacolo più triste che, un giorno, la vita possa mandare in onda. Non è perdere soltanto lo stipendio, il posto di lavoro, una qualifica: è perdere «ogni senso di identità in circa quindici minuti» (P. Rense). Il Vangelo mostra d’avere padronanza chiara in materia di disoccupazione: un uomo non è povero quando non ha niente, ma quando non lavora affatto. A quell’uomo, ogni sera, i telegiornali e le statistiche che parlano di disoccupazione lo lasceranno senza parole. Gli faranno cadere nel cuore un silenzio così muto da riuscire persino a sentire il rumore della luce che si spegne in fondo al tunnel. “Scende il tasso di disoccupazione – capitava loro di sentire la sera quando, dai gradini, s’alzavano per rincasare -. Quanto è buffa l’economia: scende il tasso di disoccupazione ma non sale il tasso di occupazione” riflettevano. Saliva il numero dei dispersi e loro erano tra quelli.

L’invito del Cristo fu il riaccendersi di una speranza che pensavano fosse perduta per sempre: «Andate anche voi nella vigna». Vanno, sgobbano, sudano e ci mettono cuore, forbice e passione. Fischiettavano, lavorando, da quant’era l’allegrezza nel cuore: eran stati assunti a tempo indeterminato! C’erano lacrime di gioia tra i filari: “Pensa te quant’è incredibile questa storia – ragionò Cristo tra sé -: dovrebbe essere una cosa normale offrire un posto di lavoro a qualcuno. E invece, oggi, sembra equiparabile ad una vincita al Superenalotto”. Pazienza se alla sera, al momento della paga, quasi s’azzufferanno col Padrone. Il problema non sussiste. Lui, i primi arrivati, li paga in base al contratto: «Io non ti faccio torto – risponde al primo sindacalista paonazzo -. Non hai forse concordato con me per un denaro?» Il problema è un altro. Cristo, sapendo di non poter essere citato al tribunale del lavoro, lo smaschera: «Tu sei invidioso perchè io sono buono?» (cfr Mt 20,1-16). Per noi, impresari improvvisati, un novantenne deve sgobbare al pari d’un ventenne. Il figlio di un operaio ( come mio padre) avere i tempi di reazione di quelli del figlio d’un docente: per Cristo, invece, tutto dev’essere “su misura”. E chi non se ne intende di umano, non capisce affatto come gira l’economia.

(da Il Sussidiario, 23 settembre 2023)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Vangelo di Matteo 20,1-16).

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