Gli Atti degli Apostoli ci confermano che le nefandezze, da parte dei tribunali contro gli innocenti, spesso per il solo motivo di non avere appoggio dai potenti e – soprattutto – scarsità di denaro non rappresentano “niente di nuovo sotto il sole”: al contrario, si tratta della dimostrazione di come il peccato, sotto forma di corruzione e avidità, diventi spesso motivo di puntiglio ed ostinazione proprio contro chi non ha intenzione di compiere alcun atto ostile.
Paolo è infatti prigioniero “a causa del Vangelo”: le istituzioni civili (Festo) tirano per le lunghe, tenendolo in carcere per mesi, solo per compiacere i Giudei, incapaci di sciogliere una vera condanna. Festo approfitta allora del re Agrippa (giudeo), in visita a Gerusalemme con la sorella Berenice perché, ascoltando Paolo, esprima anche lui un giudizio.
Di fronte a loro, Paolo racconta la “famosa” cronaca della propria conversione, sulla via di Damasco, con quella domanda «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo» (At 26, 14), che interroga nel profondo ciascuno di noi e rappresenta quasi l’eco del «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9) e con un costante riferimento alla luce.
La domanda che Gesù fa a Paolo ci ricorda che, in Cristo, non è più possibile sottrarsi alla responsabilità. Cristo è a Capo della Sua Chiesa e ciascuno di noi, ognuno con il proprio ruolo, è tenuto a collaborarvi, nella piena consapevolezza di essere a servizio di Cristo e del Vangelo: ogni incarico, mansione, competenza, talento è chiamato ad essere messo a disposizione per il Regno di Dio e non per la gloria personale o per compiacere le maggioranze. La luce che permea il racconto di Paolo rimanda alla persona di Cristo: vedere Lui è aprire gli occhi; di più, è cercare di sintonizzarsi con il Suo modo di vedere il mondo, anche quando è in contrasto con i nostri comodi e con le nostre, personali visioni. È attraverso la Parola di Dio che possiamo ricevere luce per affrontare le sfide che l’attualità ci pone innanzi, nella nostra vita di singoli, inseriti nella storia dell’umanità.
È in seguito a questa visione di luce, alla quale obbedisce, che inizia la sua predicazione «agli umili e ai grandi», per sottolineare che seguire Cristo non riguarda un’unica categoria di persone (magari, come asserisce qualcuno, vecchi e bambini), quanto piuttosto costituisce un arricchimento dell’essere uomini proposto a chiunque voglia accogliere l’annuncio in libertà.
Il Vangelo ci prepara all’arrivo della festa di Pentecoste, raccontandoci l’annuncio dell’avvento dello Spirito Santo sugli Apostoli, che, in molte nostre parrocchie, coincide con la Cresima di tanti nostri ragazzi. Parlare dello Spirito non è mai immediato, infatti anche nel Vangelo Cristo ne parla un frammento alla volta, con parsimonia, con quella stessa ritualità attenta, che è propria di chiunque, lavorando a stretto contatto con la natura, impara a rispettarne i tempi, non forzare mai la mano e cogliere i segnali che essa manda per comprendere quando passare alla fase successiva. In questo brano, oltre ad essere messo in relazione con la S. Trinità, Gesù sottolinea il ruolo dello Spirito Santo di “suggeritore” (specialmente, quando sotto processo, preannuncia, come nel caso di Paolo, di cui si parla in At 26) sottolineando che ci accorgeremo dell’importanza “dopo”, con la nascita della Chiesa. Che può avvenire solo con la dipartita di Cristo. Come un bambino, che può imparare a cammminare davvero, solo quando il padre ne lascia mano e, da lontano, lo invita a raggiungerLo. Fino a quel momento, seguirLo non sarebbe mai stata una scelta libera!
(Rif: letture festive ambrosiane della VI Domenica di Pasqua, Anno B)
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