Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

light-of-the-world-1Che la vita non sia rose e fiori non c’è bisogno che nessuno ce lo ricordi.
Malattie, ingiustizie, sopraffazione, povertà, corruzione, egoismo abbruttiscono questo povero mondo. E se ci indigniamo per la malattia e la morte, spesso soprassediamo con troppa nonchalance sul fatto che tanti disastri e tanto dolore ce lo provochiamo noi, con le nostre scelte sbagliate, autolesioniste e incuranti delle conseguenze che causano sul medio e lungo periodo o sulla lunga distanza geografica.
Ripropongo un esempio che sembrerà banale, ma è alla portata di tutti ed è una scelta economica spicciola. A chi non piace risparmiare? In questo periodo in cui pochi possono scegliere in serenità le proprie spese, credo che, di necessità, piaccia quasi a tutti. Ma scegliere un prodotto più economico, che però è realizzato a scapito della salute e della sicurezza dei lavoratori e che non garantisce loro un equo compenso è veramente onesto? Io credo non lo sia né nei loro confronti, né nei confronti di chi si impegna a dare un salario onesto ai propri dipendenti, rischiando di non riuscire a chiudere in positivo il bilancio all fine del mese.

La storia del barbiere ci mostra come vedere il Male non sia difficile per nessuno, solo che, atei o credenti, spesso sbagliamo attribuendone a Dio la causa. Imponiamo a Dio di essere come vogliamo noi, un vindice o un supereroe, perché non accettiamo che lasci la libertà…. quando si tratta degli altri!
E, spesso non ci accorgiamo, che ciascuno di noi, nel proprio piccolo, contribuisce alla rovina o alla salvezza del mondo. Pensiamo che basti non uccidere nessuno o non rubare per sentirci a posto con la nostra coscienza, ma non badiamo alle nostre parole che feriscono, all’assenza di tenerezza, sorrisi, gioia.
Cos’è più comodo: pensare che Dio sia come un mago che risolve tutti i problemi senza che noi muoviamo un dito – e, se non lo fa, significa che non esiste – oppure pensare che potremmo essere noi il problema, mettere in discussione ciascuno qualcosa di noi stessi e provare la difficile via del cambiamento e dell’impegno in prima persona, senza delegare ad altri il compito di cambiare il mondo, ma pensando a cambiarlo, a partire da noi stessi?
Credo che la risposta venga da sola, nonostante sia difficile accoglierla, com’è sempre difficile accogliere l’Amore che si comunica attraverso la Verità. Risulta sempre scomodo, anche quando percepiamo il sapore dell’autenticità.

Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra. Coraggio. La tua Croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della Croce. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Coraggio, tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.» (Tonino Bello, Il parcheggio del calvario, in Omelie e scritti quaresimali, vol. 2, p. 307, Luce e Vita)

Per vivere nell’autenticità questa Pasqua, dovremmo, a mio avviso, partire da subito ricordando che il Crocifisso è risorto, che è mirando alla Gioia, che si è sottoposto alla Croce e che il fine autentico è la Risurrezione. Ed è veramente risorto!
Senza questo, nulla ha senso. Non ha senso dirci cristiani, perché il senso del cristianesimo è sconfiggere la paura della Morte perché essa non è più colei che ha l’ultima parola su di noi. Il coraggio di Cristo di sottoporsi alla croce consente a tutti noi di risorgere con lui.
Lo stupore dei discepoli non nasce dalla croce. La croce li annichilisce, li devasta, li sconvolge, li intimorisce e li fa scappare a gambe levate (restano infatti solo le donne e Giovanni, con lui sotto la croce). Dopo tre giorni, sono sorpresi dalla gioia: nonostante Cristo lo avesse annunciato diverse volte, l’oblio aveva avvolto ogni ricordo, la tristezza incatenato ogni cuore e non riuscivano a vedere alcuno spiraglio di luce scaturire da una morte tanto atroce. Per loro, non era ancora risorto, perché, intrappolati dal lutto, non erano in grado di lasciare che le proprie ferite diventassero feritoie di speranza, attraverso cui tornare di nuovo a sorridere.
Si aprono alla gioia solo quando non vedono più nella croce il fine, ma il mezzo, inizialmente amaro e di difficile comprensione, essenziale per giungere alla gioia strabordante di non soccombere alla morte, ma di poterla oltrepassare, avvolti dall’amore di Dio che non abbandona mai.
Se qualcuno ci fa notare che “la vita è una sola”, in realtà dovremmo rispondergli che è tutto da dimostrare, ma intanto facciamo di tutto per non sprecare neanche una goccia “di questa”.
“Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Sono poche le indicazioni temporali nel vangelo, e di solito riguardano l’istante, non la durata. Se questa indicazione di durata e presente, è senza dubbio importante.
“Da mezzogiorno alle tre” è il tempo del dolore, del lutto, dell’afflizione. Perché la sofferenza non va dimenticata, ma “attraversata”. Una volta arrivati alle tre, va però oltrepassata, si crea un nuovo tempo, finiscono le lacrime e ci si predispone alla novità di una gioia “diversa” perché attraversare il tempo del dolore dona sempre uno sguardo diverso anche alle gioie antiche, conosciute prima di esso.
Crogiolarsi nel dolore non fa vivere bene né noi né chi ci sta vicino, e per un cristiano è assolutamente insensato e inspiegabile: è come se Cristo fosse ancora nella tomba, come se la nostra speranza non avesse alcun fondamento, come se la nostra sequela fosse di un morto, non del Risorto!
Ecco perché è importante riscoprire, valorizzare, manifestare e testimoniare la gioia. Cristo senza gioia è un mezzo Cristo e la Croce senza la Pasqua rende un pessimo servizio a Cristo, trasformando il Dio della Gioia, che vuole canti sulla cetra, nel dio della mortificazione e del pianto!
C’è però un passo indietro da fare, fondamentale per arrivare a questo punto.
Tutto ciò non cancella il dolore, ma lo riempie di significato e di speranza. Va notata però una cosa. Un personaggio mai abbastanza valorizzato è il cireneo. Senza dubbio non è stato il solo a seguire Gesù, tanti lo abbandonarono nel momento del bisogno (come del resto, accade spesso anche a noi, purtroppo!). Lui ha una caratteristica particolare. Non ha scelto di seguire Gesù. Ci si è trovato.
Ma è rimasto, e ha condiviso fino alla fine il “cammino”. Non ha potuto evitarne l’epilogo, non ha potuto sottrarre Cristo alla Croce, ma ha saputo condividerne il dolore. Quante scelte sbagliate si potrebbero evitare, se ciascuno di noi riuscisse a non sottrarsi alla condivisione del dolore, per far sentire meno solo chi si trova in una situazione difficile? Alle volte, la cosa più difficile è “esserci”. Non sempre si può fare qualcosa, ma “esserci” è talvolta l’unica scelta alla nostra portata.
Dirò di più. Talvolta, ci accontentiamo della commiserazione, illudendoci che sia compassione. La prova del nove è data dalla gioia. Se sappiamo condividere le sfighe, ma l’invidia ci invade di fronte ai successi altrui, ancora non abbiamo la purezza di cuore che ci fa essere cirenei della gioia e veri testimoni di Cristo Risorto!
Buon cammino di gioia e di speranza, nella comprensione autentica della Pasqua di Risurrezione… perché la Pasqua inizia dalle Tre del Venerdì Santo!

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