Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
evasione

Nell’eterna lotta tra detenuto e carcere – colorata di aneddoti, barzellette e letteratura varia – il più delle volte a vincere è il carcere: la forza di un prigioniero nulla può contro la forza di un’istituzione. Una partita impari che, però, ogni tanto riserva piacevolissime sorprese sopratutto quando il più debole tra i due riesce a spuntarla e portare a casa una vittoria tanto inaspettata quanto a lungo inseguita. Anche in carcere in questi giorni si stanno svolgendo gli esami di maturità. Dietro le sbarre la scuola è uno di quegli strumenti che riesce laddove altri falliscono: dare un senso alla quotidianità grigia e tetra delle galere. La prima prova dell’esame di quest’anno aveva come traccia – criticata, apprezzata, discutibile – il tema del “viaggio”: un’immagine suadente per chi nel viaggiare intravede una possibile metafora della sua esistenza. Uno di loro l’ha letta, l’ha scelta, l’ha rielaborata in classe: “la mia vita finora è stata un viaggio di sola andata” – è stato l’incipit del suo tema. Dalle campagne del suo paese alle celle claustrali di una patria galera: certi viaggi hanno biglietti di sola andata, il biglietto di ritorno è ancora lungo dall’essere obliterato. Non ha scelto lui la meta, gliel’ha scritta la giustizia. O, meglio, è stata il frutto delle sue libere scelte di un tempo. In fronte ad una cella qualcuno (troppi) si piange addosso: c’è sempre un motivo per sfuggire dalle proprie responsabilità. Lui – vecchio contadino che mai aveva viaggiato in vita sua – appena entrato in cella ha iniziato a viaggiare: “dal giorno che sono entrato, non ho mai smesso di viaggiare – continua -. Nella cella, ovviamente: due metri per tre”. Come sia possibile viaggiare rimanendo segregati è il mistero più bello che abita i monasteri di clausura, le celle di un eremo, il silenzio dei chiostri. Difficile immaginare che le celle di un carcere divengano “agenzie di viaggi”. Eppure laddove tutto sembra inimmaginabile, ogni tanto germoglia la vita: “com’è possibile?, si starà chiedendo il mio esaminatore – s’interroga il detenuto/maturando – E’ molto semplice: lascio il mio corpo per educazione al carcere, ma lascio che la mia anima sia libera di viaggiare. Sulle ali di un libro, di un pensiero, di una speranza”. E’ l’inaspettato che non ti aspetti: un libro come motivo di evasione, un pensiero come occasione di fuga, una speranza come invito a continuare la battaglia.
A scuola non s’impara la soluzione ai grandi problemi dell’esistenza: che cosa semplice sarebbe il vivere! La scuola è oltre: ti permette di familiarizzare con il pensiero di grandi menti che sul tema della vita hanno riflettuto, dibattuto, pensato. E’ scontrandosi con il loro riflettere che lo studente si costruisce una sua struttura, si attrezza per affrontare l’esistenza: anche dietro le sbarre. Impara – senza sfidare la legge – a tendere delle imboscate al carcere senza che esso se ne accorga: “il carcere mi ha dato una cella – è la conclusione del suo tema -, io gli ho teso un’imboscata (termine familiare, ndr): l’ho accettata come spazio ma ho deciso io come vivere in quella cella. Quel giorno ho intrapreso un viaggio lunghissimo che sto ancora percorrendo: mi sono messo alla ricerca di me stesso”. Ha ragione lui: la giustizia ti dice “quanto” devi pagare, il carcere ti dice “dove” devi pagare ma tu puoi decidere l’aspetto che fa la differenza: “come” pagare la tua pena.
Chissà quale sarà il voto finale di questo tema: non è questo che c’importa raccontare. Perchè in calce alla sua lettura, il guadagno è stato splendido a prescindere da tutto il resto. E’ la dimostrazione più bella di dove arrivi la scuola quand’è veramente scuola: attrezza l’uomo per permettergli di viaggiare. Su un aereo o sulle rotte dell’immaginazione poco importa: sempre di viaggi si tratta.

(da Il Mattino di Padova, 28 giugno 2013)

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