Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
(Dal Vangelo di Luca, 24,46-53)

fiammellaDurante l’Ascensione, Gesù gettò un’occhiata verso la terra che stava piombando nell’oscurità. Soltanto alcune piccole luci brillavano timidamente sulla città di Gerusalemme. L’arcangelo Gabriele, che era venuto ad accogliere Gesù, gli domandò: “Signore, che cosa sono quelle piccole luci?”. “Sono i miei discepoli in preghiera, radunati intorno a mia madre. E il mio piano, appena rientrato in cielo, è di inviare loro il mio Spirito, perché quelle fiaccole tremolanti diventino un incendio sempre più vivo che infiammi d’amore, poco a poco, tutti i popoli della terra!”. L’Arcangelo Gabriele osò replicare: “E che farai, Signore, se questo piano non riesce?”. Dopo un istante di silenzio, il Signore gli rispose dolcemente: “Ma io non ho un altro piano…”

Secondo te, è un momento bello o triste? Dipende da come la guardi quest’ora. Vissuta quaggiù, tra orti e case che si rimpiccioliscono, questi frammenti di tempo sono infinitamente tristi, questo giorno chiamato nei calendari Ascensione in verità per noi è la fine di un lungo Natale, tra queste nuvole misteriose si dissolve la magia e lo splendore di quella notte vissuta tra le colline di Betlemme. Perché se presepio significa “fare siepe”, muri, stelline e spiagge di muschio attorno a quel Bambino per imprigionarlo in una festa che richiama la nostra infanzia, con l’allegria dei nostri ricordi raccontati attorno ad un camino acceso oggi ci pensi, ti chiedi: dove sono, a cosa sono serviti tutti quei presepi? Quel Bambino, diventato grande, è scappato.
Il presepio. E la croce. Guarda che assurdità: quest’ora sembra essere più triste addirittura dell’ora della morte. Perché almeno la croce lasciava un cadavere da imbalsamare di lacrime e di unguenti, da visitare con fiori e lanterne. Illogico l’uomo, se veramente un sepolcro in terra può dar magior conforto che un punto irraggiungibile in cielo che ti parla di speranza. Ma se d’un balzo quest’Uomo abbandona la terra nel pieno della sua giovinezza e della sua eclatante vittoria, nel sole delle sue amicizie e delle sue cene è solo per gridarci che anche noi qui non abbiamo la residenza eterna. Lasciando Betania e lo sguardo dell’amico Lazzaro, le sterminate praterie ricamate di gigli e profumate di grano, il silenzio del deserto e la confusione di Gerusalemme insegna anche a noi a lasciare le nostre case senza voltarci indietro. A sollevare in alto il nostro capo. Ma che difficile capire! Noi, armati di cultura e di letteratura, capiamo solo che era tra noi e adesso non c’è più, che potevamo toccarlo e adesso sulla terra non rimane che l’impronta di quei piedi che uno sprazzo di vento presto cancellerà. Inutile nasconderlo: avremmo preferito un dio che restasse imprigionato dentro le nostre zolle, magari anche un dio di pietra come i vecchi idoli pagani, a cui tingere la fronte, ballare attorno, imprecare, sognare, ripartire.
Il difficile del nostro vivere comincia da questo momento.
Quello sperone di monte sembra una scogliera di naufraghi abbandonati, con le barbe protese verso l’alto, i ciuffi neri e le teste calve che scolorano come un mucchio di marionette a spettacolo finito, il cuore turbato in un assurdo rimorso. Senza più quel Maestro geniale e imprevedibile noi vorremmo fermarci lassù migliaia di anni perché ci è stato detto che verrà precisamente alla stessa maniera. Ma non sarà possibile. Non lo è stato nemmeno per i discepoli: hanno dovuto obbedire, sono stati costretti a scendere assieme agli altri. Con un invito accorato da parte di due uomini in bianche vesti per non dare al Maestro l’ennesima impressione di non aver capito nulla: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?” Attenzione: perché da quell’istante potrebbe nascondersi dietro un cespuglio, nel tronco cavo di un albero, in uno stagno di Galilea. Egli torna al Padre, ma quel Padre non abita oltre il volo degli uccelli. Egli è nelle brughiere spazzate dal vento, nei fienili sconosciuti divenuti locande improvvisate, sui crinali delle montagne, sotto il letto o sui tetti della città. Sai cosa significa? Che la storia non è un mazzo di inutili sussulti. Che quelli che stiamo percorrendo non sono sentieri interrotti. Che la nostra vita non è sospesa sul vuoto. Che quel Dio che senti tremendamente lontano si è fatto inquilino di quell’appartamento privatissimo che si chiama “persona umana”. Sicchè il suo indirizzo provvisorio porta i connotati di ciascuno di noi. Di me, don Marco. Di te, Andrea, fratello fortunato. Di Angela, la tua splendida donna. Di Paolo, tuo amico per la pelle… E chi vuol adorarlo non lo deve cercare nei quartieri residenziali del cielo, ma negli occhi della gente. Di Carmelo, il pescatore. Di Bernardo, l’assassino. Di Giulio, il politico. Di Antonio, il vescovo. Di Luigi, che ha smarrito la ragione. Pensa che bello: nulla sarà più straniero. Ogni terra dove poggeremo il piede la riconosceremo per una segreta memoria perché Lui l’avrà abitata. Ogni paese che laceremo non lo abbandoneremo del tutto perché lasciamo Lui. Tutto lo spazio avrà il sapore di casa nostra, il profumo delle nostre radici. Non ci saranno più lontananze perché Lui si è messo in viaggio per il mondo.
Allora capiremo che questo è stato tutto un gioco per farci innamorare ancor di più di quell’Uomo. Allora capiremo che ha fatto finta d’andarsene. Lo capiremo da questo: non avremo più paura.

naufraghi“E che farai, Signore, se questo piano non riesce?”. Dopo un istante di silenzio, il Signore gli rispose dolcemente: “Ma io non ho un altro piano…”. E’ un Gesù che lassù sul monte ti fa sentire importante, che ti regala una vocazione. Vocazione, la parola che dovresti amare di più. Perchè è il segno di quanto sei importante agli occhi di Dio. E’ l’indice di gradimento presso di lui, della tua fragile vita. Si, perchè se ti chiama, vuol dire che ti ama. Gli stai a cuore, non c’è dubbio. In una turba sterminata di gente, risuona un nome: il tuo.
Stupore generale.
A te, non aveva mai pensato nessuno. Lui si! Più che vocazione, sembra una evocazione. Evocazione dal nulla. Puoi dire a tutti: si è ricordato di me! E davanti ai microfoni della storia (a te sembra solo nel segreto del cuore) ti affida un compito che solo tu puoi svolgere. Tu e non altri. Un compito su misura per lui. Si, per lui, non per te. Più che una missione, sembra una scommessa . Una scommessa sulla tua povertà. Ha scritto “T’amo” sulla roccia! Sulla roccia, non sulla sabbia come nelle vecchie canzoni. E accanto ci ha messo il tuo nome. Forse l’ha segnato di notte. Nella tua notte. Non importa!
Puoi dire a tutti: non si è vergognato di me!

Buona settimana
GOD BLESS YOU

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