Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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«Laceratevi il cuore e non le vesti» dice il profeta Gioele, nella prima lettura. È invito a comprendere, appieno ed in profondità, cosa Dio intenda con penitenza. Talvolta, per non dire spesso, non solo nel mondo ebraico ma anche in secoli di cristianesimo, la penitenza era qualcosa che necessitava di essere espressa, esteriorizzata, addirittura ostentata.
Da una parte, è bene sottolineare che l’uomo, per la sua corporeità, ha bisogno di esteriorizzare, di visualizzare ciò che accade. Non basta l’astrazione, neppure la dichiarazione, tant’è vero che proclamiamo: «Il bene non si dice, si dimostra!». Perché, alle volte, dire soltanto con le parole risulta troppo comodo e semplice, così da non coinvolgere pienamente la persona.
Dall’altra, però, è forte il rischio, che l’esteriorizzare diventi un’ostentare, fin quasi a farci dimenticare cosa ci avevi messi sulla strada della penitenza.

Ecco quindi perché un tale invito a coltivare un’interiorità del cammino di penitenza, prima di intrapenderne un’esteriorizzazione. Noi abbiamo bisogno di esternare ciò che facciamo (anzitutto per noi stessi!), ma prima è necessario che ci sia chiaro perché e per Chi lo facciamo. Sempre!

Fratelli, non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. (1Cor 9,24-27)

La metafora di San Paolo ben si addice ad introdurre il tempo quaresimale, che ci accoglie in questa domenica. Il tempo liturgico, che scandisce l’anno è suddiviso come una preparazione atletica: per un cristiano, la Quaresima è il tempo della preparazione più serrata. Come un atleta che, in vista di una gara importante, controlla ogni dettaglio: le ore e le modalità del sonno, le ore di allenamento, i tempi del recupero, la propria dieta e le calorie introdotte (e bruciate). Basti pensare che, ad esempio, a livello agonistico, le figure professionali che curano la preparazione sono molteplici: al preparatore atletico si affiancano massaggiatori, fisioterapisti, ma, spesso, anche medici, dietologi e persino chiropratrici.
Beninteso, il digiuno quaresimale non può essere inteso come una dieta ipocalorica. Tuttavia, il cibo, con la sua simbologia, specie nell’opulenza in cui noi occidentali (persino i meno abbienti!) siamo abituati a vivere deve essere un punto da toccare, per vari motivi. Innanzitutto, perché per chi non ha mai sperimentato davvero la fame, è bene sperimentare, ogni tanto almeno, un po’ di “appetito pungente”. Ci aiuta a ricreare comunione con l’umanità e con Dio: ci fa ricordare di chi lo sperimenta (spesso, moltiplicato, quotidianamente), ci aiuta a rinnovare il senso di gratitudine per quello che abbiamo e, spesso, non valorizziamo, riconducendolo al Datore di ogni dono.
Al contempo, però, il nostro impegno non può e non deve fermarsi a quello: come per ogni atleta gli aspetti sono molteplici, così è per la nostra preparazione spirituale. Il digiuno serve a dissodare il terreno – ed è bene ricordare che ognuno è bene lo faccia in base alla propria condizione (le donne in gravidanza e le persone che fanno lavori faticosi sono esenti e, in generale, ciascuno valuti cosa può fare, senza arrivare a mettere a rischio la propria salute, perché non è quello l’obiettivo) – ma lo scopo è ricordare che Dio, non io, sono il centro della mia vita, a cui tendere sin da ora. E che, solo per grazia sua, è possibile concretizzare i nostri propositi di conversione quaresimale. Dimenticare questo è vanificarli tutti.
La preparazione si suddivide sempre in più aspetti, tuttavia, meglio pochi, che troppi. Meglio essere realisti, piuttosto che smargiassi. Come in una maratona, meglio aggiungere piccoli passi possibili, un poco alla volta, lasciando magari la scelta più impegnativa nel finale, cosicché, galvanizzati dall’aver puntellato in modo positivo piccole buone abitudini, riusciremo a sconfiggere anche quello che, all’inizio, ci sarebbe sembrato un obiettivo troppo alto per noi.
Questa Quaresima possa essere il tempo propizio (kayros) in cui scoprire e ri-scoprire l’essenziale, che regge la nostra vita e che, come fondamenta, rimanendo invisibile, rischia di passare inosservata. Fino a che non succede qualcosa di negativo. Possa essere come l’attimo che precede l’immersione, durante una vasca in piscina, in cui, concentrati al massimo, focalizziamo il nostro obiettivo.

Perché non c’è nessuna partita che si vince sul campo. Si vince (o si perde) dal momento in cui ci si allaccia gli scarpini e si decide che si scende in campo per dare il massimo.

Rif: letture festive nella I Domenica di Quaresima, anno C (Gl 2,12b-18; Sal 50; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11)


Fonte immagine: Pixabay

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