Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

LA VITA È BELLA
È ciò che non si stancava di ripetere Etty Hillesum, una giovane donna morta nel campo di concentramento di Auschwitz.

di Mariapia Bonanate, da “Milizia Mariana”, gennaio 2010, pagg. 12-14

Nonvio2«Carissima Etty, da quando siamo diventate amiche (si può diventare amica di una ragazza di ventinove anni, gasata ad Auschwitz?) mi accade spesso di interrompere le mie giornate e le ore insonni della notte per venire a nutrirmi delle tue parole. Ogni frase che hai scritto, ogni gesto che hai compiuto, in quei felici e tragici ultimi anni della tua vita, sono per uno spazio di meditazione».
Con queste parole ho introdotto il mio libro “Donne che cambiano il mondo”, rivolgendomi a colei che da quasi vent’anni, da quando l’ho scoperta per caso – ma niente accade mai per caso- è una diventata una compagna di viaggi interiori, ma anche di vicende quotidiane. Confesso che raramente mi era capitato di percepire un autore così presente e vivo nella mia esistenza e spesso mi sono chiesta, mentre assistevo al successo sempre piùvasto del suo “Diario” – otto quaderni scritti tra il 1941 e il 1943 nella Amsterdam occupata dai nazisti – quale fosse il segreto vincente di questa ragazza, scomparsa con milioni di ebrei nei lager di Hitler. Che cosa c’era nei suoi scritti, rimasti per quarant’anni nel cassetto prima di trovare un editore, da conquistare una platea internazionale, ma soprattutto da instaurare dei rapporti personali che spesso cambiano la vita di coloro che li leggono?
Era nata a Middelburg nel 1914, morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943; suo padre era insegnante di lingue, sua madre, ebrea russa, una donna passionale e inquieta, i suo fratelli, Misha e Jaap, particolarmente dotati, musicista il primo, considerato uno dei più promettenti pianisti europei, geniale il secondo, che, a diciassette anni, scoprì un nuovo tipo di vitamina. Tutti scomparsi con lei. Si era trasferita nella capitale olandese nel 1932 per frequentare l’Università; poco sappiamo di quegli anni, fino a quando non iniziò a scrivere il suo “Diario”, in coincidenza con lo psicologo Julius Spier del quale divenne assistente e poi compagna.

Eppure, nonostante queste scarse notizie, Etty Hillesum è diventata sempre più un personaggio dei nostri tempi, con la forza del suo coraggio, con la sua partecipazioen ai destini dell’umanità: «La vita, la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi, estenuati dal camminare e il gelsomino dietro alla casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio» leggiamo nel suo “Diario” (ed. Adelphi) dal quale traggo tutte le citazioni seguenti.
È stata questa sua capacità di vivere la quotidianità con partecipazione intensa, con passione per le persone e per le situazioni, nonostante l’inferno che stava attraversando, a fare di eli un personaggio profetico che ha saputo strappare al buio di un momento storico terribile la luce di una speranza che andava al di là della precarietà di quanto stava vivendo.ù
E questo è potuto avvenire perché «la ragazza che non sapeva inginocchiarsi», che per anni aveva condotto una vita disordinata, sia sentimentalmente che umanamente, un giorno, anche grazie al suo rapporto intimo ed appassionato con Spier, che l’aveva aiutato a scendere nella propria interiorità, aveva scoperto dentro di sé «una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e da sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Questa scoperta aveva cambiato radicalmente la sua esistenza, aveva fatto filtrare sempre di più nelle sue azioni e percezioni quotidiane barlumi di eternità. Non l’aveva fatta sentire più sola nella stanchezza di un’esistenza resa sempre più difficile dalle persecuzioni subite dagli ebrei, cacciati dai posti di lavoro, rinchiusi nei ghetti e mandati nei campi di lavoro. L’aveva sorretta nella paura che sommergeva come una coltre nera l’Europa in guerra: «Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento! So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto», scriveva il 27 giugno 1942, dopo aver saputo che già 700.000 ebrei erano morti in Germania e nei territori occupati.

Dio e gli altri sono i due fili rossi della storia tragica e meravigliosa di questa  giovane donna, che sapeva godere dei colori del cielo, del profumo dei fiori, della rosa e del gelsomino, delle gite in bicicletta lungo il fiume, delle stelle nel cielo, ma che nello stesso tempo camminava nelle strade del mondo, accanto alle generazioni del passato, del suo presente e del futuro, partecipando alle loro fatiche e alle loro scommesse, con la consapevolezza che tutto deve iniziare dalla pienezza della nostra anima e dalla ricchezza del nostro cuore.
«La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé… Una oace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato questo odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile»
Una partecipazione alla vita dell’universo e dell’umanità che le permise di diventare la protagonista sublime di un contro-dramma nello scenario apocalittico della seconda guerra mondiale. Di diventare il cuore pulsante della baracca che abitò a Westerbork, il campo di smistamento degli ebrei che nel terrore di partire per la Polonia. Aveva ottenuto di esservi trasferita per lavorare nell’ospedale locale e assistere le perosne che di lì transitavano.
Attorno a lei madri disperate con bambini affamati e piangenti, anziani distrutti nel corpo e nell’anima, ragazze strappate alla loro giovinezza e ridotte a poveri stracci alla mercé di un diabolico piano d’annientamento. Un popolo affranto e disperato che Etty con la sua dolcezza e la sua forza interiore cercava di rincuorare, ma che ad ogni convoglio che partiva le portava via un pezzo di anima.

Fra quelle baracche, dietro il filo spinato che le separava dal mondo, il rapporto tra Etty e Dio divenne un colloquio ininterrotto, raggiunse l’intensità di un discorso tra amici che si sorreggono a vicenda. Ispirò alla ragazza che aveva imparato ad inginocchiarsi sul tappeto di cocco quella preghiera della domenica mattina che è una delle pagine più intense e belle del suo “Diario”, profondamente umana e intensamente mistica, una preghiera che vale per i nostri tempi, così bui e travolti da tanto malessere e violenze.
«Mio Dio sono tempi tanto angosciosi. stanotte per la prima volta ero sveglia nel buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere. Una cosa, però, diventa sempre più evidente in me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dovere aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini».
Per Etty si stava avvicinando il momento della partenza. Julius Spier, il compagno tanto amato, era morto. Erano rimasti solo lei e Dio, non c’erano più altri che potessero aiutarla. La sua salute era spesso pessima, la burrasca diventava sempre più violenta, lo smarrimento lancinante. Gli amici volevano che si mettesse in salvo, le avevano offerto la possibilità di farlo, cercarono persino di rapirla, ma lei non volle abbandonare la sua gente: scelse di rimanere in mezzo a tanto orrore per poter dire con il Dio che abitava in lei che «la vita è bella».
Una frase che ritorna nei suoi scritti come una nota musicale di fondo e nella quale si riassume il miracolo vissuto da questa ragazza, quello di aver sconfitto la morte, vivendo già nell’eternità. Lei che aveva spezzato il suo corpo come fosse pane per distribuirlo alle donne e agli uomini che «erano così affamati. E da tanto tempo». Lei che seppe essere un balsamo per tante ferite. E quando i genitori e i due fratelli vennero deportati a Westerbork, salì con loro sul convoglio diretto ad Auschwitz. Dal finestrino del treno gettò una cartolina che fu raccolta: «Abbiamo lasciato il campo cantando».
Poi scese il silenzio. Oggi quel silenzio è diventato un vento forte, una voce che attraversa i Continenti e gli orrori dei nostri tempi per aiutarci a inginocchiarci e a ripetere con Etty che «questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono».

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