Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

 

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Quando ho commentato entusiasticamente questa vignetta di don Giovanni Berti, di tutto mi sarei aspettata tranne che venire sommersa, non molte ore dopo, da messaggi privati in cui mi si invitava ad andare a fare visita al Creatore seduta stante, possibilmente nel modo più tragico e doloroso del repertorio. Dei veri propri auguri per una immediata dipartita da questo mondo, un triplo concentrato d’amour cortese da fare invidia alla scuola poetica siciliana di medievale memoria e contemporaneamente ai sonetti di Shakespeare.

Il dato curioso che ha caratterizzato la pressoché totalità dei messaggi lo si può riassumere tramite il celebre proverbio “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. In parole povere, mentre il significato più profondo della vignetta era esplicitato dal fumetto di Dio, quasi tutti si sono fermati al primo fumetto in basso a sinistra. Che è un po’ come capitombolare non appena partiti dai blocchi di partenza in una corsa di cento metri: con il naso e gli occhi a terra hai voglia a guardare dove sta il traguardo!
Eppure, ve lo assicuro, mi sono letteralmente scervellata per trovare qualche magagna a questa immagine. Ho spulciato il Catechismo della Chiesa Cattolica – un ripasso fa sempre bene, a prescindere – mi sono re-immersa nei primi capitoli della Genesi, ho fatto volentieri un tuffo carpiato tra le righe della teologia giovannea. I documenti del Concilio Vaticano II mi hanno occhieggiata dalla libreria con cipiglio severo. Non ho esitato ad interpellare anche loro, così da non potermi appigliare a nessuna scusante.
Cosa dà tanto fastidio di questa vignetta? La risposta è abbastanza semplice. All’apparenza sembra che il cristianesimo venga equiparato, tramite una sorta di immaginaria livella che tutto appiattisce, a tutti gli altri credo religiosi presenti nel mondo, rendendolo così solo uno qualunque, senza arte né parte, senza nulla di speciale. In questa interpretazione vano allora è il sacrificio dei martiri, vana l’evangelizzazione, vano forse anche lo stesso sacrificio di Cristo. Se non fosse che il disegno, invece, non si ferma in quel minuscolo riassunto della religiosità di buona parte della specie umana (appunto, è solo un riassunto, non una classifica!). Il Dio Padre dei cristiani è giusto lì accanto e questo già di suo è sufficiente per inficiare l’abbozzo di interpretazione che si è arenata ai blocchi di partenza ed ha preferito giudicare la corsa da lì piuttosto che mettersi in gioco.
Il nucleo del messaggio, la luna del nostro iniziale proverbio, sta nella presenza di Dio e nelle sue parole: tutta l’umanità che lo invoca – ognuna con le peculiarità proprie – è amata senza confini. Tutta. In questo gigantesco, infinito, incommensurabile, meraviglioso abbraccio siamo tutti racchiusi, dal primo all’ultimo essere umano. Da te che leggi questo testo dallo smartphone al pastore solitario nelle steppe dell’Asia, dal fedele che si appresta ad andare a messa all’adolescente che abita la foresta amazzonica. Dall’Inuit che sotto al ghiaccio trova il suo cibo al bambino appena nato in qualche sperduto ospedale da campo.
“Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò.” (Genesi 1,26-27)
La fratellanza dell’umanità intera è un prodotto D.O.C.G., cioè di Denominazione d’Origine Controllata e Garantita.
Dio, Creatore e Padre, ne è il garante in prima Persona sin dall’alba dei tempi e per l’eternità: una tempistica mica da poco. Come se non bastasse la seconda Persona della Trinità, nella figura di Cristo, ci regala il secondo bollino di qualità. È infatti il Figlio ad essere il modello su cui si basa la nostra somiglianza con Dio – non il contrario! – ma soprattutto su cui si basa il nostro essere amati fino alla morte. Tutta l’umanità è stata redenta da Cristo, per ogni singolo essere vivente è stata vinta la battaglia contro la morte, anche per l’apostolo traditore, la cui scelta di rispondere o meno a quell’amore fu sua e solo sua, così come noi facciamo la nostra. Lo Spirito non è da meno e fa, da sempre, che la danza dell’”io” e del “tu” si tramuti in un “noi” che si allarga come fanno i cerchi nell’acqua. Ed ecco anche il terzo bollino, che fa di noi figli di Dio, a prescindere dalla nostra lingua, dal tempo in cui viviamo, dal nostro credo.
Provate ora a chiudere gli occhi. Ad immaginare di essere avvolti da un abbraccio di proporzioni inimmaginabili – abbracci che in questi tempi di lontananza e di distanze di sicurezza abbiamo dovuto negare, quanto ci mancano! – che non ha confini di spazio o di tempo. L’Amore, che rende eterne tutte le cose, vi stringe insieme a miliardi di altri esseri viventi e al tempo stesso vi riconosce nella vostra unicità e vi chiama per nome. Non iniziate ad occhieggiare ai vostri vicini chiedendovi se siano più o meno meritevoli dello stesso abbraccio che vi avvolge, non iniziate a stilare una classifica di arrivo per vedere chi si guadagnerà il podio: non spetta a voi farlo, né tantomeno a me. Continuate invece a camminare in questo abbraccio, avendo cura che nessuno si senta escluso: il traguardo che vi, che ci aspetta, vuole essere raggiunto insieme ai nostri fratelli d’umanità, non nonostante loro.

 

Si ringrazia don Giovanni Berti per la concessione dell’immagine.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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