Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

(pp. 21-22)
La passione di don Ernesto mette in crisi il secondino.

Filò letterario. A cura dell’autore.
Lupi, delinquenti e assassini. Costretti per illegale libertà a fare d’una cella di galera il punto d’osservazione sul mondo. Le sbarre come rami d’albero che oscurano l’orizzonte, il grigiore come rievocazione delle nebbie d’ottobre sulle silenziose colline e quel chiavistello il cui rumore rimpiazza il rintocco dell’Ave Maria. Dietro le sbarre di un carcere vegetano i lupi, i delinquenti, gli assassini.
La periferia vigliacca.
Assassini armati di cuore e d’immaginazione. Che – una volta calato il sole – hanno paura. D’essere soli, abbandonati, traditi. Del passato, del presente, del futuro. Dell’amico, del nemico, di loro stessi. Della guardia, delle sbarre, della notte. Del silenzio. Perché dentro il lupo, seppur ridotto a brandelli, continua a sopravvivere l’uomo: che ha sbagliato, che deve pagare, che vuole risorgere. Che non accetta di credere che l’abat-jour faccia le veci del sole. Immagina prati coi girasoli, carezze di femmine, fruscìo di capelli scompigliati dal vento. L’eco di un sogno evangelico: incappare in Qualcuno che alle cinque del pomeriggio conceda una chance. Per riaccendergli la fisionomia di un mondo da riscattare.
Manganelli, spranghe, lucchetti. E il lupo rimane distante. Ma, tornato all’aria aperta, l’accompagnerà una ferocia inattesa. Una carezza, una parola, un’evocazione. E il lupo s’addomestica, s’ammansisce, s’intenerisce. Perché nessun lupo ci guadagna a rimanere solo a brancolare nella steppa. In carcere la sera ci s’appisola con mille interrogativi.

“La speranza nasce dal fondo dell’abisso. Se io sono disperato, condannato, specialmente se sono ergastolano e so che la mia data di liberazione è il “mai”, ecco che può venire fuori tutta la bellezza e la potenza dell’uomo. In quel momento sei senza futuro, eppure senti che un futuro in qualche modo te lo devi inventare. E’ un controsenso, si intende. Però basta che dal fondo intuisca uno spiraglio, perché ce la possa fare. Anche se sarà doloroso arrivare fino in cima. Ma so che la luce esiste. So che si può. In carcere ci si addormenta con mille interrogativi, qualche giorno ci si può anche svegliare con una risposta” (Alfredo Bonazzi, la belva di Viale Zara, 7000 giorni di galera).

Ci s’appisola con mille interrogativi. E una verità: l’uomo è capace dei più smisurati crimini. Ma anche delle più impreviste risurrezioni.

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“Il ramo di ciliegio” – Disegno di Beatrice Costa, Romano d’Ezzelino (VI)


PROPOSTE DI RIFLESSIONE

  1. “L’uomo è capace dei più smisurati crimini ma anche delle più impreviste risurrezioni” (righe 41-42). Prova a discutere con i tuoi compagni questa affermazione.
  2. Perché l’autore accenna alla città di Gubbio? Prova a cercare la storia e a raccontarla, spiegando la similitudine.
  3. Il secondino pensa che don Ernesto abbia “una stessa immagine in fronte allo sguardo”, ma che reagisca “con letture differenti e impreviste” (righe 51-52). Conosci, nella tua esperienza quotidiana o attraverso i mass media, altre persone che diano “letture differenti” dalla visione comune e “impreviste” dalla maggior parte delle persone? Come le giudichi?

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