autunno_1.jpgSorta la democrazia anche ottobre fu costretto ad un
fastidioso lifting: dall’ospitare le foglie che, smemorate della loro
freschezza, silenti cadono sulla nuda terra all’accogliere manifestazioni
ottobrine, preferibilmente di discutibile rivolta, che infastidiscono coloro
che vorrebbero affascinare. A Roma d’ottobre c’è "aria di tempesta" come
canterebbe lo Zero nazionale. Non importa per chi e che cosa: basta scioperare,
urlare, intralciare. Quasi che l’urlo fastidioso (e da troppi immotivabile)
porgesse l’occasione di mostrare una faccia bella dell’Italia. Quella che
spera, che denuncia, che sogna.
Peccato nelle piazze ci tocchi assistere al cane che
si mangia la coda. Criticano l’Italia che stanno costruendo e ostruiscono l’Italia
che vorrebbero costruire. S’accusano, si querelano, s’inanellano: tutto fatto
in casa. Si critica per criticare, per smantellare, per scoraggiare. Tanto
nessuno sembra capirci più nulla: se non i tassi che scendono, le borse che s’infossano,
i ristoranti che s’allontanano. Cioè s’intuisce la leggera brezza che regala il
camminare sul ciglio di un abisso.
Attestano che in Cina la parola crisi si componga
unendo due ideogrammi: uno significa crisi e l’altro ha il campo semantico dell’occasione.
Crisi come occasione di crescita, dunque. Nella crisi il germe della rinascita.
Nella nebbia la segnaletica stradale.
Di un’Italia che, accusandosi, trasforma la piazza da
luogo d’antico baratto ad incrocio di moderno ricatto. Politico ed
esistenziale.

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