Di primo acchito, vien quasi da pensare che non sia altro che il solito fatto di cronaca giudiziaria a tinte fosche, quello che riguarda l’inchiesta “Angeli e Demoni”, riguardo ad illeciti di varia natura, nell’affidamento dei minori, nella zona della val D’Enza, in Emilia Romagna. Protagonisti, loro malgrado, ancora una volta, bambini. Innocenti, indifesi: appunto per questo, protagonisti di compravendita, di interessi illeciti (sempre altrui, mai dei bambini!), di calunnie, di falsità, di abusi. Tutto, pur di avere un figlio. Persino strapparlo, con l’inganno e la calunnia alla sua famiglia d’origine, infangandone la reputazione e divulgando la menzogna. Di tutto, pur di ottenere il risultato. Calpestando anime innocenti, provocando il dolore immenso di una separazione ingiusta ed innaturale.
C’è qualcosa di più grave, stavolta. Di più turpe, di più infame, di più vile ancora, se possibile, di qualunque altro crimine contro l’innocenza.
Stavolta, indagati risultati persone che ricoprono ruoli che dovrebbero essere a tutela e difesa dei bambini, addirittura a nome dello Stato: magistrati, pediatri, psicologi, assistenti sociali. Stavolta si parla di un sistema, consolidato, per estorcere bambini alle famiglie d’origine e poi assegnarle a famiglie già predefinite. Accordi precisi, illeciti, ben al di là dell’interesse dei bambini, costantemente violato, fino alla violenza ed all’abuso, psicologico e fisico. Infatti, molti bambini hanno trovato situazioni peggiore di quella della famiglia d’origine, nel loro iter di affidamento e di adozione, fino ad arrivare a diversi casi di stupro.
Il solo sentire parlare di certi fatti metti i brividi. A chiunque. A maggior ragione, se si tratta di leggerli, guardando negli occhi i propri figli, nipoti e ritrovarsi, inevitabilmente, a pensare, non solo con rabbia e ribrezzo, ma anche con terrore: «E se fosse capitato a noi?». Difficile pensare dolore più grande di un genitore e di un figlio costretti a separarsi, destinati a non incontrarsi più. E non per quei casi-limiti che “impongono” la perdita della patria potestà per proteggere l’incolumità psicofisica dei piccoli. Tutt’altro. Per motivazioni che sembrano più calunnie costruite ad hoc. Tanto che i bambini confessano di aver nostalgia di mamma e papà e del loro affetto: ciò non accade, quando il nido domestico è diventato un inferno di abusi e violenze (vera motivazione, per cui è giustificato, se non inevitabile la perdita della patria potestà per i genitori). Con il risultato, ad esempio, di dare in affido una bambina a una coppia di lesbiche, da parte delle quali subisce vessazioni – stavolta certificate.
Non è nulla di nuovo, purtroppo. E ce lo fa notare il dottor Morcavallo, che, dopo aver lavorato dal 2009 al 2013 presso il Tribunale dei minori di Bologna, esasperato dalla situazione e dalle più o meno velate minacce, ha gettato la spugna ed ora fa l’avvocato presso lo studio paterno.
La prima cosa che rileva è la grande quantità di pratiche inevase e “abbandonate”, inconcepibile se pensiamo che parliamo di minori, che, dunque, nel giro di qualche anno, non hanno più – per ovvi motivi – ragione di essere sottoposti a tutela perché raggiungono la maggiore età. La seconda, anch’essa inquietante, è che la maggior parte degli allontanamenti sono dovuti a motivi economici: i genitori sono considerati, per i più svariati motivi, “inadeguati” e perdono la patria potestà. Invece di aiutare una famiglia in difficoltà, il giudice molto spesso, decide per l’allontanamento, ingrandendo gli eventuali problemi, qualora ci fossero, invece che contenerli.
“Si vedrà in tribunale” si dice. Inutile negare la realtà. Nonostante, negli stati democratici, si cerchi di temperare le ingiustizie, chi ha più soldi può permettersi avvocati migliori e può vincere processi, anche stando dalla parte del torto.
Ma la speranza, nelle coscienze che ancora riescono a comprendere quanto male possano causare certe scelte, certe decisioni e certi crimini, resta. Lasciamo ai tribunali il loro mestiere. Che stabiliscano le colpe e si avvicinino, il più possibile a quanto umanamente possibile, per ristabilire la Verità su vicende così cupe da far impallidire persino il buio dell’inferno.
A noi cosa resta, noi che possiamo fare?
L’indignazione non può essere risposta sufficiente, quando si parla di crimini contro i soggetti più innocenti, che bruciano le anime dei più piccoli, che annientano la loro vita affettiva, che spezzano – con complice violenza, anche quando si tratta di violenza perpetrata tramite vie legali – il legame più sacro e profondo, quello con chi li ha messi al mondo.
L’indignazione è solo un moto dell’animo, troppo comodo perché ci interroghi davvero. Ogni bambino è un figlio che ci è affidato, anche quando non sono i nostri figli. È la comunità adulta che è chiamata a farsi dell’educazione – e della tutela – dei più piccoli. Tutti, nessuno escluso.
C’è chi, da anni, ne ha fatto una missione. Combattendo, spesso, il silenzio complice delle istituzioni. Grazie a questa inchiesta, possiamo immaginare perché. Parlo, ad esempio, dell’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto, che si batte come un leone, nell’indifferenza generale, per difendere i veri interessi dei bambini.
Per vincere, abbiamo bisogno di più coraggio. Perché – ormai ne abbiamo la certezza – i nemici dei bambini sono numerosi e, spesso, purtroppo, hanno forti legami con le istituzioni e sono – quindi – ben protetti, quando non certi dell’impunibilità delle loro nefandezza.
Basta un granello di sabbia a far inceppare un meccanismo, ormai consolidato. Siamo quel granello!
Fonte immagine: Pixabay
Per approfondire:
ilssusidiario1
ilsussidiario2
reggionline
lanuovabussolaquotidiana
Associazione Meter
Le Iene – video