Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

01144 19072018
L’abitudine è un vestito che, addosso, ci sta comodissimo: «Un arcobaleno che dura un quarto d’ora non lo si guarda più» scriveva W. Goethe. Un’orazione che si prega dalla fanciullezza, non la pensiamo più mentre la recitiamo: ci si può anche abituare alla salvezza. E’ il colpo-grosso di Lucifero: non vi è nulla di più contrario alla salvezza dell’abitudine, non del peccato. L’Ave Maria, tra tutte le preghiere del popolo che segue Cristo, è quella più a rischio d’usura: l’abbiam pregata così tante volte che, a rimettercene, è la sua bellezza. Per troppa usura non riesce più a risvegliare il sapore dei misteri che la abitano, che son più vasti della via Lattea: misteri che, in ultima istanza, siccome riguardano la Madre son anche affare del Figlio. Tra una madre e un figlio, in natura, è attestata una sorta di trasfusione di sangui. Non c’è nulla che tocchi una madre, Maria, che non sia anche questione che tocchi il figlio, Gesù. «Nel nome del Padre inizia il segno della croce – scrive Erri De Luca -; nel nome della madre inizia la vita». A capo.
Ave Maria è il nuovo progetto editoriale di Tv2000: un programma in undici puntate, in prima serata (il martedì, dal 16 ottobre, h. 21.05), che ho firmato con Andrea Salvadore. Al centro la Madre per eccellenza, la Donna-bellezza: Maria. E, attorno a lei, i misteri più pazzi della storia cristiana: la grazia e il coraggio, la benedizione e il figlio, la santità e la maternità, il peccato e la morte. “E’ la vita di tutti i giorni – dirà qualcuno – niente di nuovo sotto il sole”. Esattamente: nulla di nuovo di quello che noi già sappiamo, che addirittura preghiamo, ma che, forse, non accettiamo più di pensare. Con Papa Francesco – anche quest’anno nostro compagno di viaggio in tutte le puntate – abbiamo messo mano alla stravaganza di Maria facendo una sorta di manutenzione del quotidiano: non c’è nulla di più meraviglioso che cercare Dio nella ferialità di una vita. Più che da smidollati, è il grande fatto serio della fede: più Dio sembra scomparire, più la sua intimità è in fase di lavorazione. Dio non accetta di essere tenuto a distanza di sicurezza: in mezzo al nostro trabattare vuol stare, Lui assieme alla Madre. Sono un tutt’uno, la bella-coppia della salvezza. Rimangono, tutt’oggi, fonte d’inquietudine: «Non si può concepire la santità senza inquietudine» mi confida Papa Francesco nel mentre registriamo un pezzo del programma. Diventato anche un libro, dal titolo Ave Maria (LEV-Rizzoli). Il mondo, e la sua storia, contemplati dal basso, che è il punto di vista dei poveri: «Lei viveva nel popolo, come il popolo. E’ anormale vivere senza il collegamento con il popolo – puntualizza -. In quelle condizioni nasce un peccato che piace tanto a Satana: il peccato dell’èlite». Pregare Maria è aprire gli occhi sulla gioia di Dio ch’è nascosta in tutte le cose. Che senza una rivoluzione della tenerezza rischia di fuggire al nostro sguardo: «Noi abbiamo bisogno della Madonna della Tenerezza: è la benedizione – sottolinea il Papa -. Senza tenerezza non si capisce una mamma, senza tenerezza non si capisce Maria». Essere teneri è essere potenti: «Le braccia di una madre sono fatte di tenerezza. E i bambini vi dormono profondamente» scriveva Victor Hugo.
Una sorta di viaggio, dunque, sulle orme di Maria. Percorso in compagnia della donna, che è la grammatica scelta per questa lavorazione. Donne dai volti apparentemente conosciuti: Sonia Bergamasco, Michelle Hunziker, Cristiana Capotondi, Carla Signoris, Cristina Parodi, Cristina Comencini, Letizia Moratti, Luisa Muraro, Noa. Donne apparentemente sconosciute: mia madre, una delle madri di Plaza de Mayo, una parrucchiera, una casalinga, una giornalista. Sono donne, dunque fanno le veci di Dio finchè ritornerà. Per parlare della maternità il passo era obbligato: bussare alla loro porta. E dire loro che ci aveva mandato la Madre, la Madonna, a cercare qualche sfumatura di Lei nel volto di loro. Tutte le mamme si assomigliano, assomigliano a Lei. Non temono d’essere calpestate: «L’erba, calpestata, diventa sentiero» (B. Dimitrova). Sentiero che porta in alto.

(da Il Sussidiario, 14 ottobre 2018)

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