Sono i due corazzieri della cattedrale cristiana, i due più grandi corazzieri della più che nutrita avventura cristiana. Le due colonne portanti della storia più ambiziosa e paradossale mai partorita dall’umanità: quella di un Dio che cerca, provandole tutte, di mettersi in cooperativa con l’uomo per formare un’alleanza che valga la salvezza. La salvezza dell’uomo, la gioia di Dio: «La gloria di Dio è l’uomo vivente» scrisse Ireneo di Lione. Sono due, diversissimi per storia e per dote, gemelli siamesi per meriti e inconsistenza: Simon Pietro di Galilea e Paolo di Tarso. Il primo, a suo dire fedelissimo capitasse quello che capitasse, è stato protagonista di una triplice abiura, dopo che era stato additato da Cristo stesso come Satàn. La sua specialità, se specialità può essere, era quella di pensarsi un grande impresario che poteva vantare di avere nella sua scuderia il talento fine come il lino di Gesù di Nazareth. L’altro, Paolo, fustigava i cristiani e li costringeva al gabbio come una bambina corre per i prati cercando di catturare le farfalle nella sua retina . Dopo che si convertì, il Robespierre ante litteram indossò la pelle del neo convertito: un’energia indomabile, un’ambizione smisurata, una dedizione ai limiti della ferocia d’amore. Il primo, uomo dal cuore di burro, venne marchiato a fuoco nel cuore con l’appellativo di “pietra”: mai ironia sortì più fortuna della pietra di burro. Il secondo si auto definì un aborto, «neppure degno di essere chiamato apostolo» (1Cor 15,8). Il pescatore e il guerriero al servizio di un Dio pescatore e guerriero come pochi: “Difficilissimo – direbbe Paolo – restare latitanti quando si è ricercati dal Cielo”. Gli farebbe eco Pietro: “Più che difficilissimo, è impossibile”.
Il paradosso di queste due vite altalenanti è la posizione post-mortem che viene loro riservata: uno a destra, l’altro a sinistra nell’ingresso della chiesa ch’è la madre di tutte le chiese, la Basilica di San Pietro. Nella mano destra di Pietro ci sono due grosse chiavi, in quella sinistra tiene un cartiglio con scritto: «A te darò le chiavi del Regno dei Cieli» (cfr Mt 16,13-19). Anche Paolo ha le mani indaffarate e occupate. Nella mano destra lo spadaccino ha la spada, la sua vecchia passione, in quella sinistra delle carte recanti una scritta in lingua ebraica: «In Dio, mia forza, tutto posso» (Fil 4,13). A loro due, non ai più fedeli e romantici della prima generazione cristiana, Cristo e la Chiesa chiedono di fare il servizio d’accoglienza ai pellegrini che, in ginocchio, varcano la Porta Santa della Basilica: «Io arrivai in una piazza / colma di una cosa sovrana / una bellissima fontana / e intorno una allegria pazza» (C. Betocchi). Difficile, in una situazione del genere, non sentirsi all’altezza d’entrare. O non sentirsi a casa in una casa così: la superficie del mondo, senza le loro fragilità, sarebbe più dura. Il giorno in cui una postulante arrivò nel convento delle Suore della Carità di Nevers (F) rimase così sorpresa dall’aspetto di suor Bernardette Soubirous che, leggermente stizzita, chiese: «Ma è proprio questa Bernardette?» La risposta di una delle più grandi mistiche del Novecento non si fece attendere: «Sì, è tutta qui». Chi, dal Cielo e dalla sua Chiesa, ancora oggi s’aspettasse lo scoppiettare degli spettacoli pirotecnici, è come aspettasse una nave in aeroporto.
Andare in chiesa non rende automaticamente cristiano così come andare in garage non ti rende automaticamente una macchina. Il Cielo – col suo Dio e tutta la corazzata di Arcangeli, Cherubini e Serafini – è fondato sul favoritismo: i meriti, con Dio, non sembrano contare granchè. Contassero davvero, gli animali domestici entrerebbero al posto nostro. Ci salveremo, se un giorno accetteremo di salvarci, grazie ad un favore: la Grazia di Dio. Il che, nella storia di questi due portenti di cartapesta, salva capra e cavoli, i meriti e il favoritismo. Del tipo: “Chi si ostina a dire che con Cristo non vince il merito, si sbaglia. Soprattutto dentro il Vangelo a vincere è il merito: il merito di riconoscere al volo la persona giusta alle quale affidare la propria fragilità”. Santi Pietro e Paolo, pregate per noi!
(da Il Sussidiario, 28 giugno 2025)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Vangelo di Matteo 16,13-19).

Una risposta
“…un’energia indomabile, un’ambizione smisurata, una dedizione ai limiti della ferocia d’amore”
Più alta descrizione non c’è dell’amore di Dio!
Questo scritto è un capolavoro!
Grazie dm